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Anno edizione: 2015
Anno edizione: 1999
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Fluviale monologo di un mafioso siciliano rivolto ad un giudice: scorre la storia della mafia, della Sicilia e dei Siciliani. Un dettagliato susseguirsi di evoluzioni e involuzioni della mafia , raccontata in prima persona da una voce che incarna tutti gradini della gerarchia e tutte le vite coinvolte in quell'universo. Interessante e importante, ma un po' faticoso da portare in fondo.
È un un libro sulla pervasività della mafia, sotto forma di confessione di un mafioso davanti ad un giudice, anche se non ho capito il linguaggio. I mafiosi parlano un misto di siciliano e di italiano (simile al linguaggio di Camilleri), mentre qui si esprimono in un italiano abbastanza ricercato, ma lo stile è veramente asfissiante come in “l'unica collina a frane di servizio” e “dobbiamo cenare giapponese parlando francese nelle nostre scarpe inglesi”. Sono evocati i tempi dello spaccio della droga, la “mattanza grande”, il carcere, il connubio con le autorità, fino ad arrivare dove non è consentito arrivare, su tutto l’eterno proverbio siciliano “chi nasce tondo non può morire quadrato”. Una lettura un po’ pesante, per le ragioni dette prima, ma sempre interessante.
Un libro che parla di mafia può non nominarla mai? È possile parlare dei mafiosi senza deificarli e senza bestializzarli di modo che noi ci sentiamo noi i belli e loro i brutti? Malacarne è questo e tanto altro. In un lungo monologo, Giosuè Calaciura ci avvolge nella cruda realtà del mondo mafioso, fatto di ricchezza e di nascondimento, di potere e di paura di morire. Minimo comune denominatore è la violenza, vera trama di questo monologo, che sporca tutte le pagine del libro. Banalizzata, ignorata, esaltata, ricercata: la violenza avvolge tutto e tutti in un vortice di morte. È un testo difficile, che colpisce allo stomaco e fa riflettere. Una scrittura superba, per un autore davvero dotato, anche se per i più potrebbe risultare tanto difficile da sembrare noioso.
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