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Recensioni
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Finisci la creanza! Non lasciare la creanza! Che fai lasci la creanza? La creanza del cafone? Che poi non ha mai capito perché proprio il cafone dovesse essere quello che lascia l'ultima briciola, l'ultimo boccone, l'ultimo cucchiaio di minestra - proprio il cafone che per quanto ne sapeva doveva essere l'affamato numero uno di ritorno dal suo duro lavoro.
Malacrianza: una parola che racchiude in sé molteplici significati. Indica la maleducazione, nei dialetti dell'Italia meridionale; è un bambino di strada, o un bambino cattivo, in portoghese. Finisci la crianza: non lasciare l'ultimo boccone nel piatto, sta male (Che fai lasci la creanza? La creanza del cafone?); è l'ordine degli squadroni della morte brasiliani (Finisci il bambino... che aspetti?).
Una malacrianza, una creatura deforme, maleducata, "sbagliata", è questo romanzo di Giovanni Greco - vincitore del Premio Calvino 2011 -, che non sta alle regole, che proprio non ha nessuna intenzione di comportarsi come un romanzo.
Malacrianza è un libro respingente perché parla dell'infanzia tradita, sfruttata, rifiutata. Dentro Malacrianza vi sono storie ai margini di bambini costretti a crescere troppo in fretta, a sottostare alle regole indiscutibili degli adulti; di bambini che vivono per strada, abbandonati, soli, vittime del commercio degli organi o della prostituzione infantile; di bambine che rubano o si prostituiscono; di ragazzini violenti che in Sud America si difendono dal potere violento che li usa, che esercitano l’arte di arrangiarsi in qualche paese dell’Est o nel mondo arabo. Malacrianza è un viaggio nell’infanzia in varie parti del mondo con i bambini che vivono nelle fogne, in strada, nelle favelas, nell'indifferenza e nella fatiscenza, dove i nostri occhi non vogliono indugiare. Una discesa agli inferi, tra violenze, abusi e sopraffazioni ma anche piccole solidarietà e sogni disposti a tutto per potersi avverare.
Malacrianza è un libro che non vorremmo leggere. È un testo disturbante come la tela di Enrico Baj che campeggia in copertina, la cui mostruosità primitiva ci mette di fronte a quello che più ci spaventa. È "una sfida ai limiti dell'estetico", come l'ha definita Daniele Giglioli, quella di Giovanni Greco, che rinuncia a qualsiasi abbellimento formale, non si nasconde dietro la storia e diventa l'aguzzino dei suoi personaggi. Non ci sono scuse, retoriche abusate, finali consolanti, non ci sono preamboli o psicologie, girata la pagina, a sollevarci la coscienza: è tutto terribilmente vero e presente, nei quadri dipinti da Greco, che non possiamo rivolgere l'attenzione altrove.
Malacrianza è anche un'avventura linguistica e stilistica straordinaria. Greco gioca con i significati e le sfumature di una lingua non chiusa nei confini nazionali per avverare l'universalità dell'esperienza di un'infanzia violentata, nel nostro paese come altrove, che ci riguarda direttamente. Ripetizioni ossessive, come filastrocche; parole storpiate, come si fa da bambini, quando la lingua è ancora qualcosa di oscuro, magico e misterioso; sovrapposizioni di storie - prima narrate in terza persona, poi direttamente in prima - e passaggi rapidissimi e spiazzanti che non permettono nemmeno la consolante identificazione. Greco ci offre questi piccoli quadretti spietati, che si avvicinano esponenzialmente al cuore del male e della solitudine, e ci lasciano esterrefatti e colpevoli nella nostra indifferenza.
A cura di Wuz.it
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