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La malattia dell'Occidente. Perché il lavoro non vale più
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La malattia dell'Occidente. Perché il lavoro non vale più - Marco Panara - ebook
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malattia dell'Occidente. Perché il lavoro non vale più
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Descrizione


Medico più attento e meno pietoso: Marco Panara suggerisce di guardare in faccia e più da vicino il morbo che nasce dalla perdita progressiva del valore del lavoro.Massimo Riva, «l'Espresso»Si parla continuamente di lavoro. Si cita chi l'ha perduto, i giovani per i quali è precario. Più raramente si ragiona su cosa sia diventato il lavoro, quale sia il suo valore sociale, quale il metro con cui lo valutiamo. Marco Panara ha colmato questa lacuna: una sua analisi, molto acuta, riguarda il rapporto diretto tra libero lavoro e democrazia. Lì s'è aperta in tempi storici la prima crepa nell'assolutismo del potere. Lì, per sventura, potrebbe richiudersi.Corrado Augias, «il Venerdì di Repubblica»La diagnosi di Marco Panara potrebbe sembrare eccessivamente pessimistica, invece è realistica per tanti aspetti. A meno che non si manifesti una sterzata sul piano politico, prima che la perdita di valore del lavoro divenga un morbo endemico.Valerio Castronovo, «Il Sole 24 Ore»C'è una nuova minaccia sui Paesi industrializzati: il lavoro povero, sempre più precario e svalutato, a basso e bassissimo reddito, che schiaccia ampie fasce di popolazione sotto le soglie minime di povertà. È questa la ‘malattia' analizzata da Marco Panara, che mette in relazione il declino del valore del lavoro con il peggioramento della qualità della democrazia.Paola Pica, «Corriere della Sera»
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Dettagli

Testo in italiano
Tutti i dispositivi (eccetto Kindle) Scopri di più
XII-150 p.
Reflowable
9788858107669

Valutazioni e recensioni

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Doniz
Recensioni: 3/5
Interessante ma…

Il saggio di Panara ha l’obiettivo di spiegare come la perdita di valore del lavoro si sia tramutata in una generalizzata crisi del sistema occidentale, una crisi non solo lavorativa, ma anche politica, sociale e culturale. Panara è in grado di intessere una spiegazione avvincente, quasi narrativa, che dipana le molteplici cause di questa svalorizzazione del lavoro. La spiegazione sembrerebbe regge, la tesi risulterebbe ben strutturata e lineare, ma…. C’è un grande ma, perché non ci sono le fonti della sua tesi. I riferimenti nella letteratura sono pochissimi, non c’è una bibliografia ed è strutturazione del percorso logico, benché risulti razionalmente lineare, è lasciato alla fiducia del lettore. Peccato, si sarebbe potuto fare diversamente e il saggio avrebbe avuto tutto un altro valore.

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Sergio
Recensioni: 5/5
Molto interessante

Dopo una prima parte dedicata ad illustrare come lo sviluppo tecnologico e la globalizzazione stiano contribuendo in vari modi a svilire il lavoro, e quindi a generare povertà, l'autore descrive come è nata, come si è evoluta e che conseguenze ha avuto sul lavoro la crisi finanziaria del 2007-08 (il libro è del 2010). Molto interessante anche la parte successiva, dedicata al rapporto lavoro-democrazia. Definirei invece 'ottimista' il capitolo finale, "Uscire dalla trappola". Arrivato al termine del libro ho ripensato a Malthus: in passato gli esseri umani erano condannati ad una povertà quasi generalizzata perché non controllavano la crescita demografica resa possibile dal progresso tecnologico (solo le guerre/epidemie avviavano, paradossalmente, periodi di benessere per chi sopravviveva). Solo dopo la rivoluzione industriale una parte importante e crescente dell'umanità ha goduto di un discreto e duraturo benessere materiale. Ma ora corriamo il reale rischio di tornare a condizioni di diffusa povertà, non solo per la crescita demografica, amplificata dalla globalizzazione che fonde i diversi mercati del lavoro, ma anche per lo sviluppo tecnologico che distrugge molti lavori. Che il tanto temuto (chi ci pagherà le pensioni?) calo demografico sia, assieme ad una seria politica di redistribuzione, invece un’auspicabile via per salvaguardare sia l'ambiente che il benessere diffuso e, con esso, la pace sociale e la democrazia?

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Sergio
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Molto interessante

Dopo una prima parte dedicata ad illustrare come lo sviluppo tecnologico e la globalizzazione stiano contribuendo in vari modi a svilire il lavoro, e quindi a generare povertà, l'autore descrive come è nata, come si è evoluta e che conseguenze ha avuto sul lavoro la crisi finanziaria del 2007-08 (il libro è del 2010). Molto interessante anche la parte successiva, dedicata al rapporto lavoro-democrazia. Definirei invece 'ottimista' il capitolo finale, "Uscire dalla trappola". Arrivato al termine del libro ho ripensato a Malthus: in passato gli esseri umani erano condannati ad una povertà quasi generalizzata perché non controllavano la crescita demografica resa possibile dal progresso tecnologico (solo le guerre/epidemie avviavano, paradossalmente, periodi di benessere per chi sopravviveva). Solo dopo la rivoluzione industriale una parte importante e crescente dell'umanità ha goduto di un discreto e duraturo benessere materiale. Ma ora corriamo il reale rischio di tornare a condizioni di diffusa povertà, non solo per la crescita demografica, amplificata dalla globalizzazione che fonde i diversi mercati del lavoro, ma anche per lo sviluppo tecnologico che distrugge molti lavori. Che il tanto temuto (chi ci pagherà le pensioni?) calo demografico sia, assieme ad una seria politica di redistribuzione, invece un’auspicabile via per salvaguardare sia l'ambiente che il benessere diffuso e, con esso, la pace sociale e la democrazia?

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