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Malcolm X. Rifiuto, sfida, messaggio - Roberto Giammanco - copertina
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Dettagli

1994
1 marzo 1994
352 p., ill.
9788822061614

Voce della critica


recensione di Gambino, F., L'Indice 1995, n. 1

L'Autobiografia di Malcolm X è stata diffusa nel mondo a milioni di copie; ne sono stati tratti vari documentari e nel 1992 la Warner Bros ne ha finanziato un film di un certo successo con la regia di Spike Lee. Nel complesso per l'editrice Grove Press l'"Autobiografia" si è rivelata un filone d'oro, dopo che l'affare sfuggì alla casa Doubleday, probabilmente a causa di innominate pressioni (sta di fatto che, poco dopo l'assassinio di Malcolm X nel febbraio del 1965, la Doubleday rescisse il contratto che la impegnava a pubblicare l'autobiografia, perdendo tra l'altro un consistente anticipo sui diritti d'autore). Nei mesi successivi alla morte, la stampa e la televisione seppellirono Malcolm X sotto l'accusa di essere stato un demagogo violento che aveva finalmente incontrato la sorte che si meritava. L'aggressione alla sua memoria andò attenuandosi soltanto quando, alla fine del 1965, prese a circolare la notizia che in ogni caso il volume sarebbe stato pubblicato. Dopo la sua uscita e l'immediato successo di pubblico, cominciò un'operazione culturale più soffice e di lunga gittata. Essa tendeva e tende alla rimozione del suo messaggio e non si può ancora considerarla conclusa.
Sin dalla fine degli anni sessanta, la "dimenticanza benigna" nei confronti del "problema del colore" e la ripresa della discriminazione su scala internazionale sono andate di pari passo con il tentativo di obliterare la memoria di Malcom X. Salvo notevoli eccezioni, i biografi si sono affrettati a tramandarne l'immagine di brillante ma obliquo 'public relations man' del non meglio precisato "orgoglio nero", piuttosto che di leader rivoluzionario statunitense: così già Paul Goldman ("The Death and Life of Malcolm X", Harper & Row, New York 1973) e così ancora Bruce Perry ("Malcolm", Station Hill Press, Barrytown, N.Y. 1991) si sono guadagnati le opportune benemerenze conservatrici e 'liberal'.
Con questo volume Roberto Giammanco, il maggiore studioso italiano di Malcolm X, del quale fu amico, compie un'operazione che potrà sembrare inattuale: si oppone all'obliterazione e ripubblica la sua traduzione degli "Ultimi discorsi di Malcolm X" (Einaudi, 1968), premettendovi quattro nuovi saggi insieme con l'introduzione che egli scrisse per l'edizione italiana dell'"Autobiografia". Il peso che così assume la voce di Malcolm X nell'ultimo biennio di vita è senz'altro maggiore di quanto detti la moda, quasi a compensare lo squilibrio tra la fortuna del Malcolm X nell'edulcorata versione cinematografica tratta dall'"Autobiografia" e il Malcolm X eversivo, imprevedibile e politicamente geniale dei suoi "Ultimi discorsi".
In Italia l'"Autobiografia" subì uno strano destino. Essa venne esemplarmente tradotta per Einaudi da Roberto Giammanco che ne scrisse pure l'introduzione e le note al testo. Dopo la prima edizione, l'introduzione sparì e divenne introvabile. A chi intraprende la lettura dell'"Autobiografia", questo "Malcolm X: Rifiuto, sfida, messaggio" risulta indispensabile. A cominciare dagli anni settanta abbiamo assistito al disorientamento di quanti, aiutandosi con le sole note a piè pagina, affrontavano l'"Autobiografia", solitamente indicata come una delle tante narrazioni consigliabili alle biblioteche scolastiche, insieme con "I viaggi di Gulliver". Il confronto del testo autobiografico con i discorsi degli ultimi due anni di vita potrà illuminare entrambe le opere, a beneficio soprattutto dei potenziali lettori che di Malcolm X hanno visto soltanto il film di Spike Lee.
Giammanco non si sottrae a un bilancio critico, anzi lo formula senza condiscendenze. A quasi trent'anni dall'assassinio di Malcolm X, l'autore cita la riflessione di Walter Benjamin sul "chiudersi senza stridori... suggellarsi di storia e dominio che stende un velo di silenzio definitivo su tutto ciò che a questo corso del mondo ha tentato di opporre la propria disperazione sconfitta". Giammanco ricorda che degli esponenti di spicco, Malcolm X compreso, della generazione di afroamericani affacciatisi alla lotta politica statunitense alla fine degli anni cinquanta, pochissimi sono sopravvissuti fisicamente e psicologicamente alle campagne di repressione lanciate ripetutamente dallo stato contro di loro e in generale contro i movimenti sociali da loro ispirati e guidati: 'a surveillance State without commissars', lo ha chiamato Noam Chomsky. Prima il ritorno della discriminazione su vasta scala poi l'ideologia del rampantismo e una ripresa economica selettiva, infine la crisi con annessa spedizione nel Golfo hanno fatto il resto.
A Giammanco interessa anche il bilancio dell'eredità dell'insegnamento di Malcolm X. Egli è severo non solo con una politica di minimizzazione del messaggio di Malcolm ma anche con i suoi sottoprodotti, fino all'operazione di marketing - la cosiddetta "X-izzazione" - che è stata condotta con maestria e cinismo da Spike Lee e dalla Warner Bros in occasione dell'uscita del loro film. La principale destinataria di questa nicchia merceologica è stata la middle class afro-americana. A scanso di equivoci, Giammanco la definisce come quel 12 per cento circa di famiglie afro-americane che godono di un reddito superiore ai 50.000 dollari annui, una percentuale raddoppiata, tenuto conto dell'inflazione, rispetto a quella del 1967. Gli altri, e in particolare il 33 per cento e più degli afroamericani che vivono al di sotto della soglia della povertà, dovrebbero accontentarsi di un Malcolm X ridotto a santino individualista e conservatore. A proposito del film Giammanco scrive che esso è "l'immagine fedele della colonizzazione che, per ventisette anni è stata fatta dai media del sistema del vero Malcolm e delle vere lotte per cambiare la società. Forse non è inutile ricordare che se quell'immagine ha successo è perché non è poi altro che la proiezione di mercato di tutti i compromessi, le complicità, i travestimenti, le comode astrazioni che hanno accompagnato il presente stato di cose".
È lo stesso Malcolm X "Ultimi discorsi" che può aiutarci a capire alcuni tratti del "presente stato di cose". Già alla metà degli anni sessanta, prendendo spunto dalla relativa debolezza sovietica, Malcolm negava la rilevanza del bipolarismo: "È possibile allontanare da sé il colonialismo, l'imperialismo ed ogni altra specie di ismi, ma è difficile allontanare da sé il dollarismo". All'inizio degli anni ottanta anche il politologo harvardiano Samuel Huntington sarebbe giunto alla stessa conclusione: "Occorrerà pur vendere [l'intervento o altra azione militare] in modo tale da creare la falsa impressione che si stia combattendo contro l'Unione Sovietica. È quanto gli Stati Uniti hanno venduto fin dai tempi della dottrina Truman". La minaccia sovietica serviva a tenere buoni il capitalismo europeo e giapponese, ma i "pericoli reali" (con le guerre conseguenti) andavano snidati tra i "non bianchi". Malcolm X negava che il cosiddetto problema "afro-americano" fosse soltanto il problema di una minoranza all'interno degli Stati Uniti. Era un problema di portata internazionale e '''gli esclusi dal banchetto" erano la maggioranza mondiale. Certo, il "dollarismo" ha avuto ragione del movimento sociale di una minoranza negli Stati Uniti. Grazie a qualche concessione e agli opportuni aggiustamenti e manipolazioni, esso è riuscito in certa misura a separare il destino della classe media afro-americana dai restanti venticinque milioni circa di afro-americani e ancor più dalla maggioranza degli esclusi a livello internazionale. Dal canto suo, Malcolm si era ben guardato dal limitare le responsabilità al dollarismo. Come dal chiuso di un penitenziario all'inizio degli anni cinquanta aveva capito l'immenso potenziale delle lotte anticoloniali, così dai suoi viaggi all'inizio degli anni sessanta aveva scorto chiaramente il pericolo incombente di neocolonialismo.
L'"Autobiografia" e gli "Ultimi discorsi" costituiscono una difesa postuma e scomoda di Malcolm X contro lo stravolgimento del suo messaggio da parte dei media, stravolgimento che egli aveva lucidamente previsto. Il libro di Giammanco mette in guardia contro quello che la scrittrice Bell Hooks chiama "il mercato del patriarcato capitalista della supremazia bianca" e guida il lettore tra le risonanze attuali di un messaggio tuttora eversivo. Grazie al libro di Roberto Giammanco, se anche questa storia dovesse malauguratamente chiudersi, non mancherebbe qualche non omologato stridore.

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