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Il libro inizia bene e descrive piacevolmente diverse situazioni, come la condizione degli ebrei conversi, l'operato dell'inquisizione, l'ambiente dell'università e dei collegi collegati, il tutto condito dall'amore per la città di Salamanca e la sua storia. La storia promette molto ma purtroppo diventa banale alla fine, negli ultimi capitoli, quando scopre la inconsistenza del movente dei delitti e banalizza anche la situazione di emarginati e di dissidenti che popolano le grotte sotto la città. Il minimo lo si ottiene nella descrizione delle scritture rupestri che danno il titolo al romanzo, peccato.
Puerile, vuoto. Dialoghi elementari, sfilacciati, al limite della tolleranza. Sebbene nasca dall'idea di proporre fatti di interesse non secondario, trovo che la differenza tra scrittore e docente risalti, in questo testo, come non mai. Ho avuto costantemente l'impressione che a scriverlo fosse la mano di un professore che sa tutto di storia e niente dell'arte letteraria. Non basta essere in possesso di un'istruzione riconosciuta e doti oratorie per inventarsi romanziere. Occorre saperle tramutare in passione, renderle avvincenti e credibili, e sopratutto fruibili non ad un ateneo ma a un pubblico di lettori. Nella sua modestia, questo libro promette profitto solo a chi abbia intenzione di conoscere la città di Salamanca senza visitarla. Non è mai piacevole esprimere un''opinione tanto negativa per un'opera, si spende sempre tempo per goderne, ma viene naturale criticarla quando, alla fine, ci si sente traditi e feriti. In uno dei passi conclusivi, l'autore usa gli aggettivi "libresco" e "scolastico": corrette definizioni per questo volume. Decisamente sconsigliato.
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