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Anno edizione: 2018
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Da "Le pulizie di una chiesa": Una mattina avevano trovato la vecchia signora delle pulizie, dalla voce gracchiante e la fama di essere una guaritrice, con il viso coperto di mosche, e siccome quelle mosche non se n'erano più andate, nè col ventaglio nè con le preghiere, la ragazza diventò la nuova donna delle pulizie". (...) " La mattina passeggia a piedi nudi lungo le sponde del canale, si dice che si accarezzi il grembo con delle foglie d'ortica. Mangia fiori di camomilla crudi. Dalla bocca le esce una schiuma gialla". Racconto breve questo sottilmente inquietante, e deliziosamente vago e indefinito, il lettore può speculare a proprio piacimento. E come non segnalare Pappagallo, (" Dondolava la sua testa piccola e colorata, osservava, ascoltava. Imparava i sussurri e le grida che circolavano negli appartamenti, poi volava via. E posatosi su altre finestre recitava ciò che aveva sentito". (...) Sa che cosa ha detto uno dei miei operai? Ha detto che quell'uccello è la voce della storia".) . Rullo di tamburo per i pazienti, ("Il tamburino estrasse il tamburo da sotto il corpo senza vita del trombettista, fece un gran sospiro, era intatto. Ritrovò anche le sue bacchette. Pulì il sangue dalla custodia. In mezzo ai morti vagavano galline sotto choc. Il camion che trasportava le galline si era scontrato frontalmente con il loro autobus. La struttura deformata del sistema di gabbie sembrava un occhio gigantesco, il cui sguardo era venato da centinaia di fessure nere"). La caduta, La medagia, Cornelia Vlad, il tremendo Al papà manchi tanto ( per la serie, quando un padre scopre che la propria figlia è una pornostar), Marta era stata in Asia, L'albero e diversi altri brevi racconti. Linguaggio asciutto e tagliente, molto diverso da quello usato nel suo lungo romanzo capolavoro, La leggenda dei giocolieri di lacrime, una raccolta di storie che ho riletto con grande piacere, un mix convincente, efficace ed inquietante di diversi generi letterari.
Racconti sibillini e silenziosi come lame di rasoi sulla tua giugulare. Il dolore lo senti a poco a poco, poi all'improvviso....il buio.
Nella sovrabbondanza di uscite letterarie che si accalcano negli scaffali delle librerie fisiche e virtuali, rischia di passare inosservata questa splendida raccolta di racconti del prolificissimo scrittore ungherese László Darvasi, per la prima volta edito nel nostro paese per merito de Il Saggiatore. I racconti di Mattina d'inverno con cadavere trascinano il lettore nella provincia ungherese, in una sorta di contemporaneità sospesa, dove lo scorrere del tempo è dettato dall'andatura delle corriere che battono polverose linee secondarie, dalle marcette di una banda di paese, dall'accumularsi dei bicchieri di pálinka (acquavite di prugne) sul bancone di una bettola. La lingua di Darvasi, ottimamente tradotta, è di grande efficacia nel rendere la dolorosa umanità dei personaggi che popolano i racconti del volume.
Recensioni
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In casa adoriamo le illustrazioni di Alfred Kubin, artista boemo scomparso alla fine degli anni Cinquanta del secolo scorso. Il suo sguardo, puntato sulla genuflessione dell’uomo nei confronti di un mondo nero e inconoscibile e delle sue entità mostruose, riesce a coinvolgere persino mia moglie che di cose fantastiche e tetre non è certo un’appassionata, anzi. Ce n’è una in particolare – un animale indistinto, enorme e indifferente, forse un ippopotamo, con le fauci spalancate che ingloba una fiumana di esseri umani presi di spalle – che mi si è parata davanti leggendo i racconti di un altro mitteleuropeo, a noi decisamente più contemporaneo.
La straziante e muta disperazione degli omini di Kubin la rintraccio nei racconti di Làszló Darvasi, autore ungherese vivente, considerato tra i più importanti della sua generazione e del suo Paese. Nella raccolta Mattina d’inverno con cadavere (328 pagine, 22 euro), distribuita in tre simboliche parti (Dio, Patria e Famiglia), ci sono uomini che a chiamarli tali ci vuole coraggio, slabbrati fino a sfilacciarsi nel corpo come nell’anima, a volte in un senso solo, a volte in entrambi, e calati in una realtà sabbiosa che inghiotte sogni, glorie e speranze a ogni piè sospinto. Ed è in un mondo naturalmente ostile, quasi che fosse la sua ragione d’essere, che Darvasi mi ha letteralmente malmenato per circa 300 pagine. Anche quando illustra una coppia di innamorati che passeggiano per la città come in Dove abita la Terra? per forza poi tutto si conclude in un turbinio di male – «alcune gocce di sangue le sporcarono il cappotto. La donna entrò nell’ingresso del palazzo, l’uomo la seguì. Lentamente il portone si chiuse alle loro spalle, attraverso il vetro vide ancora per un po’ le due schiene grigie dondolanti» – e sembra paradossale ma soltanto così, nei suoi racconti, il cosmo torna a essere in ordine e in pace. Nel male. La luce – e qui si torna alle impressioni di Kubin dove la speranza è soffocata alla nascita – è fuori posto e persino i libri costituiscono soltanto merce di scambio e di contrattazione, di ricatto, come in Consigli per proprietari di cani, e forse, in questo racconto, c’è tutta la sconfitta dell’umanità.
Recensione di Rosario Battiato
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