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Descrizione


"E una storia banale, nel senso hollywoodiano del termine. Una Grande Storia d'Amore. Hitler e il suo Ebreo. Un caso orribile". Con queste parole, stampate sul programma di sala del Burgtheater, dove il 6 maggio 1987 debuttò Mein Kampf, George Tabori lanciava una nuova provocazione al pubblico viennese. E anche questa volta fu un successo. L'opera sarebbe diventata il suo testo più noto e rappresentato in tutto il mondo. Nell'arco di questa "Grande Storia d'Amore", che si svolge a Vienna all'inizio del secolo scorso, assistiamo all'incontro tra Schlomo Herzl, uno squattrinato libraio ebreo che sogna di scrivere un romanzo sul senso dell'esistenza e il giovane Hitler, giunto nella capitale per sostenere l'esame di ammissione all'Accademia di Belle Arti.
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Dettagli

2005
1 febbraio 2005
VII-61 p., Brossura
9788806168568

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Cristiano Cant
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Uno strano pittore che crede d'essere il Dio dei pennelli arriva in una pensioncina di Vienna, è lì per studiare in Accademia (dove sarà puntualmente bocciato). Ha già dentro di sé tutti i grumi di ferocissima acredine verso la "specie" semitica, deliri che non tarderanno ad affacciarsi nelle sue considerazioni: "Dannati giudei, trasformate in sermone ogni risibile scoreggia di topo". Parte da qui la forza di questo testo, dove ogni mossa e ogni sguardo dell'Adolfo in questione viaggia su binari di estremismo terribile e a cui l'autore contrappone - con lucidissima bravura - le irrisioni di cui è capace solo la grande poesia. Ogni rancorosa levata dell'imbrattatele viene sempre rovesciata in un reciproco che pian piano la smonta, la svilisce in una maschera di farsa, soprattutto - è ovvio - quando è lui stesso a parlare nel tentativo di giustificare i suoi folli pensieri: "I comandamenti sono solo dieci, ma con un sacco di note a fondo pagina". L'altro protagonista, un libraio ebreo, è un mite che ascolta l'altro e se ne prende cura, pur dentro strali e strali di ingiurie che gli fanno comprendere presto con che stampo di soggetto ha a che fare. Il gioco in definitiva sarà quello di un duello fra morte e poesia costruito in dialoghi nei quali tristezza e ironia sapranno spendersi al meglio: "Morte: Seguitemi! - Hitler: Posso portare lo spazzolino? - Morte: E' l'inizio di una splendida amicizia - Hitler: Signora, non la deluderò". Di echi Brechtiani che sorseggiano le loro bevute è pieno il libriccino, si agita fra le righe il taglio del sorriso come l'ombra che sbeffeggia l'orrida luce di un astio senza fine. Basta leggere il giudizio su Vienna: "Sodoma multirazziale, miscuglio di feccia". Ma è l'Adolfo in noi che vuole esaltare Tabori, queste nere urgenze irrazionali che possono coinvolgere chiunque nel corso della vita. Egli le mescola in tragiche movenze leggere, ma gli istinti e le domande che l'opera si trascina devono restare scossa senza pause.

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mauro
Recensioni: 2/5

Mi aspettavo molto di più! Deludente e a tratti incomprensibile. peccato!

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George Tabori

(Budapest 1914 - Berlino 2007) scrittore, drammaturgo e regista ungherese. Di origine ebraica, studiò in Germania, ma dal 1935 visse e lavorò a Londra e poi negli USA come giornalista, traduttore e sceneggiatore cinematografico (per Hitchcock, Losey e altri), ma a causa del maccartismo è stato costretto a tornare in Germania (1971). Dopo i primi romanzi (Sotto la pietra lo scorpione, Beneath the stone the scorpion, 1945; Mea culpa, mea culpa, mea maxima culpa, Original sin, 1947), si è volto soprattutto al teatro per il quale è autore sia di regie - alternando trionfi e clamorose contestazioni - sia di testi, spesso grotteschi e surreali, duri, molti sul tema dell’Olocausto (I cannibali, Cannibals, 1968; Jubiläum, The jubilee, 1983; Mein Kampf, Mein Kampf, 1987).

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