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Da un frammento di Emily Dickinson, il titolo di questa raccolta di poesie di Luciana Moretto sembra suggerire che chi ricorda non chiude mai gli occhi, continua a tenerli ostinatamente e nostalgicamente aperti su volti, voci, gesti delle persone che abbiamo amato e che ci hanno lasciato. "Che cos'è la poesia se non il perpetuo racconto di un'assenza, di qualcosa che continuamente manca e che paradossalmente e sempre ci insegue con la sua presenza?", scrive nella sua partecipe prefazione Piero Marelli. Una poesia che si propone di annullare la distanza, recuperando tempi e spazi messi in ombra, ma mai definitivamente cancellati, dalla morte di chi ci è stato caro. In questo caso, del fratello dell'autrice, che lei è certa di poter ritrovare in un'altra, più generosa e perenne dimensione: "sicura dell'eterna compresenza/ del tutto nella vita, nella morte", "certo prosegue di là, oltre il confine/ d'ombra il patto di alleanza che un'anima/ tiene accostata all'altra", "non arresa presenza, / garanzia di vita che continua" nella metafora di un asfodelo giallo reciso che persiste inspiegabilmente a rifiorire. Il fratello amato, le cui ceneri sono conservate in un'urna lontana, "nel continente estremo in vista/ del mare", torna vivo nella foto dell'infanzia, sollevato in braccio dalla madre orgogliosa dell'unico figlio maschio. O nel quaderno ritrovato, con i riassunti dell'Iliade, e nei suoi inquieti vagabondaggi intorno al mondo, di cui la sorella poetessa si faceva rassicurante tramite presso i familiari "perplessi". O ancora nell'eco di una telefonata gentile, nelle immagini allegre del giorno del matrimonio. Ma soprattutto nella poesia più delicata del volume, che raffigura il fratello "smagrito e stanco" intento a curare le rose del suo giardino: "Spesso la morte è gentile/ e ha buoni modi. Non toglie/ qualcosa di vistoso, le basta/ che muoia una cosa/ una sola, diversa ogni volta.// E così piano piano/ dalle tue mani ha tolto la rosa".
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