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recensione di De Gaetano, D., L'Indice 1994, n.11
Un destino segnato quello di Philip Glass, uno dei più famosi compositori americani viventi. Nato a Baltimora nel 1937, all'inizio della sua carriera il suo nome è stato strettamente legato a quelli di La Monte Young, Terry Riley, Steve Reich e incluso nel movimento definito di "musica minimale" o "ripetitiva". Erano gli anni settanta: Glass a quel tempo faceva il taxista a New York per guadagnarsi da vivere e nel frattempo scriveva opere monumentali come "Music in Twelve Parts" o "Einstein on the Beach". Sono passati vent'anni dall'avvento di quei suoni ipnotici e ripetitivi che avevano aperto nuove prospettive all'avanguardia musicale americana sconvolgendo pubblico e critica. Adesso Glass è un compositore e un produttore affermato, ha un contratto miliardario con una multinazionale discografica e i suoi concerti sono sempre affollati di giovani come fosse una rock-star. Glass è conosciuto sia nell'ambito classico che in quello pop e il suo merito principale è stato proprio quello di aver abbattuto le barriere tra la musica d'avanguardia e il pubblico, di aver avvicinato i giovani all'universo della musica "colta". Ma qualche volta i meriti si confondono con i rimproveri: la sua musica, piacevole e attraente, semplice e rigorosamente tonale, ha fatto storcere il naso a parecchi cultori dell'aurea tradizione o della complessità seriale.
Per gli estimatori e per i detrattori della sua musica è da poco uscito un ricco e curato volume per la Socrates. Scritto dallo stesso Philip Glass nel 1987, "La mia musica", debitamente aggiornato per la versione italiana, ripercorre i momenti fondamentali della fortunata carriera del musicista americano. Lineare e affabile, Glass guida il lettore attraverso i suoi processi compositivi minimalisti, li inserisce nel contesto dell'avanguardia americana e delle attrazioni orientali e individua le relazioni della sua musica con le altre arti. Il tema centrale del libro è proprio la sua produzione teatrale e, in particolare, le tre opere "liriche" di cui vengono proposti anche i libretti in versione integrale: "Einstein on the Beach", "Satyagraha" e "Akhnaten*. Si tratta di una vera e propria trilogia di opere-ritratto di personaggi straordinari. La prima, "Einstein on the Beach", del 1976 è dedicata allo scienziato-violinista Albert Einstein. La seconda, "Satyagraha", del 1980, è incentrata sulla figura del "padre dell'India" Gandhi, mentre la terza, del 1983, ad "Akhnaten*, il faraone egiziano della XVIII dinastia del XX secolo a.C.
Glass ammette di essere "divenuto compositore d'opera per caso" all'età di trentanove anni, eppure i suoi "ritratti" teatrali in musica hanno rivoluzionato il concetto moderno di opera lirica. E soprattutto "Einstein on the Beach" possiede questo carattere rivoluzionario: "Philip Glass, Robert Wilson e Lucinda Childs creano una notazione quasi matematica della musica, del teatro e della danza" dice Germano Celant nel saggio che chiude il libro. E forse è proprio per questo che "Satyagraha" e "Akhnaten* risultano ancora inedite nel nostro paese, culla dell'aurea tradizione operistica.
Di facile lettura, il volume risulta arricchito in questa edizione Italiana non solo da fotografie e illustrazioni, ma anche da un'originale introduzione di Glass, che rievoca i suoi frequenti concerti in Italia con l'ensemble. Un'occasione per valutare l'importanza del compositore americano nella storia della musica di questo secolo.
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