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La mia vita in barca. Vol. 1: Radure sconfinate - Tadao Tsuge - copertina
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La mia vita in barca. Vol. 1: Radure sconfinate
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La mia vita in barca. Vol. 1: Radure sconfinate - Tadao Tsuge - copertina
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Descrizione


Tsuda san è alla disperata ricerca dell'ispirazione per un nuovo romanzo. Pesce fuor d'acqua tra le mura del suo Joker jeans shop, abbandona tutto appena può per dedicarsi al suo grande amore: la pesca. A bordo di una piccola imbarcazione naviga lungo il fiume Tone alla ricerca della carpa perfetta, dei tempi andati e di se stesso. "La mia vita in barca" è un viaggio nei luoghi e nel cuore di un maestro delia letteratura disegnata, una riflessione raffinata e sincera sul senso della vita.
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Dettagli

2016
14 luglio 2016
323 p., ill. , Brossura
9788876183072

Valutazioni e recensioni

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Frank Sato
Recensioni: 4/5

Delizioso, pulito e sopratutto cosciente con la realtà circostante sempre più legata allo smarrimento della propri persona tramite tecnologie che ci sostituiscono. Il fumettista Tadao Tsuge con colpi di matita indelebili e fraseggi perfetti ha creato un essere disegnato,divenuto umano nella mia mente. Egli emette perfettamente il concetto di ricerca e scavo della propria anima grazie a piccoli momenti di isolamento. il protagonista incontrerà altri personaggi nella sua solitudine, tutti con una propria storia ed un grande momento da raccontare. un Graphic Novel che tutti gli scrittori dovrebbero leggere.

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ladybrett
Recensioni: 4/5

pervaso di esistenzialismo è un manga profondo e leggero al tempo stesso, condito di personaggi interessanti e luoghi di ampio respiro. in alcuni momenti come spesso negli autori giapponesi, diviene palpabile il confine onirico. alcuni errori nel lettering risultano abbastanza fastidiosi.

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Voce della critica

‘NU JEANS E ‘NA BARCHETTA
Scherzi a parte: grazie a Coconino il pubblico italiano potrà scoprire il Gegika. È una notizia meravigliosa, che inizia con Tadao Tsuge.

Lo scorso anno, con la doppietta Viaggio a Tokyo e Quaderni giapponesi i rispettivi autori Vincenzo Filosa e Igort hanno praticamente da un giorno all'altro convertito il pubblico italiano al gekiga, termine giapponese che sta per “storie drammatiche”, laddove il più familiare termine manga sta per “storie di intrattenimento”. Va bene, parlare di conversione è una forzatura bella e buona, dal momento che in Italia il fenomeno era letteralmente sconosciuto: ma chiunque abbia letto quelle storie, sono sicuro che abbia passato intere giornate a documentarsi su personaggi come Tatsumi Yoshihiro e i fratelli Tadao e Yoshiharu Tsuge, padrini di un immaginario che, nel Giappone del secondo dopoguerra, si aprì al cosiddetto “mondo reale”, privilegiandone gli aspetti più crudi, problematici, disperati, battezzando di fatto il fumetto alternativo nipponico e contribuendo – come recita il comunicato Coconino – “all'evoluzione del fumetto come linguaggio in grado di soddisfare anche i gusti dei lettori adulti (...) anticipando così di anni l’arrivo del graphic novel”.

Che quindi Igort e Filosa abbiano infine unito le forze, lanciando per Coconino una collana tutta dedicata al gekiga, ha il sapore del cerchio che si chiude ed è da sola una piccola, meravigliosa notizia. Le aspettative erano alte, la curiosità ai massimi, e l'annuncio della pubblicazione italiana di questo La mia vita in barca è stato giustamente salutato come uno degli eventi fumettistici dell'anno: anche perché a firmarlo è quel Tadao Tsuge che del Viaggio a Tokyo di Filosa era uno dei protagonisti onorari, al punto che nel volume pubblicato nel 2015 da Canicola l'autore lo andava direttamente a cercare nel negozio di jeans in cui l'anziano fumettista lavora. E indovinate un po'? Il negozio di jeans compare pure qui, a mo' di ambientazione secondaria di una vicenda che, come il titolo del volume lascia intuire, si svolge principalmente altrove, e per la precisione tra le rive e le acque del fiume Tone.

Protagonista di La mia vita in barca è Kenta Tsuda, anziano scrittore/pescatore che sulle prime uno direbbe non si sa quanto ingenuo o idealista. Basti dire che, mentre la moglie e il figlio si dedicano all'attività commerciale di famiglia – il negozio di jeans, appunto – cercando di tenere testa ai debiti e di assecondare le mode dei giovani clienti, lui rimedia una malmessa imbarcazione sulla quale a un certo punto decide di trascorrere tre giorni al mese, in modo da meglio lavorare al romanzo che da troppo tempo lo tormenta. Ma al di là dei blocchi creativi, la scelta del protagonista nasconde sia crisi personali che evidenti aspirazioni “waldeniane”: il tema della natura contrapposta alla civiltà urbana, o per meglio dire dei ritmi lenti del fiume quale antidoto alle nevrosi della contemporaneità consumista (di nuovo: il negozio di jeans...) ricorre a più riprese per tutto il corso della storia, e ne è di fatto il grande tema di fondo. Eppure non è questo il principale motivo di fascino di quest'opera amara e poetica, sospesa tra un intimismo che Filosa ha accostato ai lavori di gente come Joe Matt e Chester Brown, e un tono da parabola fiabesca dalle venature oniriche.

Nel corso delle sue traversate su e giù per il fiume Tone, Kenta Tsuda incontrerà personaggi alle volte buffi alle volte ambigui: monaci erotomani, pescatori ubriaconi, coppiette che usano la sua barca come alcova a pagamento, strani vagabondi, artisti fai-da-te, gatti neri, spiriti piovuti direttamente dall'aldilà... Tutti questi personaggi sono ammantati di quell'aura  irreale e arcana che be', non so come altro descrivere se non come “tipicamente giapponese”, come se dalle acque del fiume si alzasse una nebbia in grado di mettere in contatto tra loro  dimensioni altre; in un recente intervento, Igort ha ricordato come – in un incontro con lo stesso Tsuge – “quando parliamo delle figure misteriose di Yokai e Kappa che popolano la natura secondo la tradizione giapponese, lui dice che gli interessa quella forza misteriosa, quella dimensione insondabile”; ebbene, è proprio quella forza misteriosa il vero motore di una storia dai contorni sfocati in cui si confondono miti locali e rimpianti personali, eredità generazionali e piccoli spleen introspettivi, e poi un latente senso di sconfitta che tutto permea e che di nuovo pare puntare in direzione delle origini del gekiga, quando autori come Tsuge preferirono alla “evasione” del manga “ufficiale” i vicoli lerci, i falliti, i reietti di un paese nato dal dopo-Hiroshima.

 

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