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Anno edizione: 2010
Anno edizione: 2016
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La prima parte del libro offre al lettore un'immagine forte del male, della corruzione fisica e della sofferenza, con la sezione iniziale dedicata a una drammatica visita a un ospedale, dove è ricoverato il padre del poeta: corpi martoriati, carne ridotta alla macerazione, tra cannule tubicini pitali, deambulare di pazienti, respiri catarrosi,"ciurma di arti indipendenti". Anche la quotidianità familiare sembra sopravvivere in una scenografia desolata, che arriva a coinvolgere la vita tutta. L'amore si fa vivo a sprazzi, e mai consolatorio, quasi consapevole del disfacimento a cui tutta la realtà è destinata: e l'autore è conscio della sua responsabilità nella visione negativa dell'esistere("Anni e anni ho vissuto/con questo senso ostile della vita"). Anche la parte centrale del volume, dedicata a Dino Campana, assume questa visionarietà allucinata e aggressiva, con la "figura scarna" di Sibilla Aleramo, "incandescente e impura" che risponde all'amore malato del poeta toscano ("Sapessi che voglia di ucciderti avrei"). Tuttavia, nelle due sezioni successive la tensione febbrile dei versi sembra diluirsi in una classicità più blanda, meno incisiva, meno rabbiosa; quasi che il male non venisse più riconosciuto come invincibile, assoluto dominatore dei destini umani. E invece risorge imperioso nell'ultimo capitolo del volume, "L'ortolano di Balzac", ritratto impietoso e impressionante della malevola figura di un negoziante di frutta e verdura, lercio nel corpo e nell'anima, padre padrone di una famiglia tarata, infetta dalla volgarità e dalla bruttura, che con la sua bassezza inquina l'atmosfera di un intero rione. Non sempre la poesia consola, l'aveva già insegnato Baudelaire, e a volte sa sollevarsi anche nella descrizione della negatività.
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