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Quartogenita dei sei figli della famiglia Van Gogh, Elizabeth (1859-1936) ebbe anch'essa vita non facile, sebbene meno infelice di quella del fratello: la casa editrice Via del Vento propone ora una riduzione della breve biografia-ritratto (resoconto asciutto e oggettivo, senza particolari risonanze emotive) pubblicato nel 1910, a vent'anni dalla morte del pittore. Quasi ignorata dal celebre Vincent, primogenito di un pastore protestante, ne seguì con rispettoso ma forse poco partecipe sguardo l'esistenza tormentata e geniale, con le sue cadute, le vertiginose conquiste, le inquietudini. Così lo descrive nelle poche righe iniziali: " corporatura tarchiata...testa bassa...capelli rossicci tagliati corti sotto il cappello di paglia, che faceva ombra a uno strano viso...occhi piccoli e infossati...dal suo aspetto sgraziato emergeva la profondità di tutto il suo essere. I suoi fratelli e sorelle gli erano estranei. La sua stessa persona gli era estranea, come lo era la sua giovinezza". Ecco quindi che Vincent mangia poco e da solo, veste con noncuranza, evita i rapporti sociali ("era a suo agio soltanto fra i poveri, i semplici e gli infelici"), fugge in continuazione da tutti i lavori e gli impieghi (commesso, commerciante d'arte, insegnante di francese, predicatore evangelico tra i minatori), cambia ansiosamente orizzonti (L'Aia, Bruxelles, Londra, Parigi, Anversa, Provenza), si accompagna a donne equivoche e a ubriaconi, soffre di disturbi mentali. Ha un'unica passione: la pittura, ancora incompresa dal pubblico e dai mercanti d'arte, a cui si applica con febbrile dedizione, disinteressandosi di qualsiasi aspetto materiale dell'esistenza. La sorella accenna ai suoi capolavori senza mai comprenderne totalmente l'assoluta novità ed eccellenza, solamente intuendo di Vincent l'eccentricità "fuori del normale", che rese la sua fine precoce assolutamente prevedibile: "Per lui, morire era più facile che vivere".
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