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I misteri di Londra
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I misteri di Londra - Paul Féval - copertina
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misteri di Londra

Descrizione


Paul Féval è ricordato come uno dei più ammirati e imitati autori della letteratura ottocentesca di cappa e spada. Uno dei suoi primi successi arrivò tra il 1843 e il 1844, quando sul "Courrier français" fu pubblicato a puntate "i misteri di Londra", romanzo d'appendice già ricco di quegli elementi su cui Féval avrebbe sviluppato la sua vastissima opera (fu autore di oltre duecento libri): la scrittura onirica e fantastica, la satira sociale, l'esaltazione dell'innocenza come forza eroica. Qui la vicenda ruota attorno al misterioso marchese di Rio-Santo (cui si ispirerà Alexandre Dumas per "Il conte di Montecristo"), ricchissimo e stimato aristocratico, motore occulto di un'associazione sovversiva, la Famiglia dei "gentiluomini della notte", finalizzata a rovesciare con un vero e proprio intrigo internazionale il potere economico e politico inglese. Un mondo nero e sinistro, quello di Féval, fatto di lord, chiese, fantasmi, allucinazioni e scabrose avventure ambientate in una Londra crepuscolare. Scomparso dalle librerie italiane per oltre un secolo, il capolavoro del maestro francese del brivido è ancora oggi un esempio perfetto di roman-feuilleton, un classico perduto dell'Ottocento giocato tra sangue e suspense. Introduzione di Riccardo Reim.
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Dettagli

2014
30 giugno 2014
411 p., Brossura
9788861924383

Voce della critica

  Una Londra sordida, dove i gentiluomini hanno spesso una doppia (o tripla) vita, in una sovrapposizione equivoca e ramificatissima di giochi d'interesse; il panorama di un impero planetario sull'orlo di una crisi globale; una società segreta dagli inafferrabili connotati, pronta alle iniziative più enigmatiche e sinistre. E poi ragazze rapite per truci scopi, un medico sadiano e indicibili esperimenti; vertiginosi cambi di scena da feste della buona società (con siparietti di dame aristocratiche, corteggiamenti, gelosie) a infime taverne su un Tamigi limaccioso, popolate da figure patibolari; incontri sfuggenti tra navate di chiese, palchi teatrali, edifici misteriosi dopo altrettanto misteriosi giri in carrozza; giganti messi al lavoro nel ventre della città sotterranea, venditori di cadaveri, scorci di forche e manicomi. Leggere I misteri di Londra è una festa dell'eccesso, dove il lettore che sospenda, è ovvio, ogni pregiudizio di plausibilità, è avvinto ancor oggi come all'uscita a puntate sul "Courrier français" da un sortilegio corrusco, una vertigine losca d'intrigo e di ombre. E che porta finalmente all'autore (francesissimo, ma camuffato come certi suoi personaggi sotto un nome fittizio da gentiluomo britannico, sir Francis Trolopp) il botto del successo. Tra i grandi nomi del feuilleton, uno dei più ingiustamente dimenticati in Italia è appunto quello di Paul Féval. Paul (Henry Corentin) Féval padre, 1816-1887, è bene specificare, perché c'è anche un Paul (Auguste Jean Nicolas) Féval figlio, 1860-1933, scrittore di romanzi popolari sulle orme del genitore: pure interessanti (cappa e spada, anche fantascienza) ma di qualità più modesta e minore impatto sull'immaginario. Eppure, con la rispettiva e impressionante prolificità narrativa, i due Féval incarnano anche a livello biografico la storia del fenomeno feuilleton, tra gli anni trenta del XIX secolo e i trenta del successivo: una storia che al tempo della morte di Féval figlio idealmente si chiude (anche se il feuilleton non scompare davvero e piuttosto si trasforma), ma che il padre aveva potentemente contribuito a varare, in modo diretto e anche indiretto, per l'influsso su altri autori. Così il vendicatore che è il vero protagonista di Les Mystères de Londres, quel marchese di Rio-Santo in realtà ben diverso dall'azzimato tombeur de femmes che affetta d'essere in società, con le sue identità alternative e le ingegnose macchinazioni sarà modello per l'Edmond Dantès di Le Comte de Monte-Cristo, 1846, sia pure con un profilo meno letterariamente levigato di quello offerto al proprio eroe dal genio Dumas. L'edizione italiana è coronata da una bella premessa di Riccardo Reim che introduce felicemente al filone dei Misteri urbani: un genere avviato dal successo di Les Mystères de Paris di Eugène Sue (pubblicato in appendice a "Le Journal des Débats" tra 1842 e 1843) e di cui proprio Les Mystères de Londres conferma la formula, spalancando le porte in tutta Europa e anche oltre Atlantico a grandi avventure plurali nei labirinti delle città. Avventure madide di afrori e brutture dei rispettivi mondi e di connotazioni anche involontarie di denuncia sociale, ma involontarissime nel caso di Féval, che per formazione ideologica (è un cattolico monarchico e convinto reazionario) non pensa certo a una critica radicale. Al punto che più avanti, di fronte alle sintonie tra certe istanze del "romanzo sociale" e quelle della detestatissima rivoluzione del '48, si getterà su generi più neutri come il cappa e spada (celebre il suo Le Bossu, 1857) di cui resterà con Dumas uno dei massimi cantori. Gli editori italiani farebbero però bene a ricordare anche la sua produzione di genere fantastico, basti citare gli originalissimi Le Chevalier Ténèbre, 1860, La Vampire, 1865 e La Ville Vampire, 1867, quest'ultimo una chicca con Ann Radcliffe nei Balcani che fronteggia i vampiri; e quella poliziesca promanata proprio dai suoi vecchi Misteri, in particolare la saga di Les Habits Noirs, lasciata incompleta per la svolta devota dell'ultimo decennio che indurrà Féval a un profondo ripensamento sul senso della scrittura. Ma i più di duecento titoli della sua produzione mappano registri svariatissimi, a rivelare un eclettismo e una fantasia che meriterebbero una riscoperta ad ampio raggio. Già comunque Les Mystères de Londres gronda fantasia, e il linguaggio popolare che incalza le vicende un po' improbabili è godibilmente adeguato. Straordinario è l'effetto corale, con un brulicare di personaggi e caratteristi dai più vari registri verbali lungo tutto l'arco dello spettro sociale: un intreccio convulso di emozioni, agnizioni e amori (alcuni destinati al successo, altri a conclusioni drammatiche), ricerche di fanciulle rapite, vendette e misteri, le cui scene a volte trascolorano nell'onirico. Vertiginose virate della macchina da presa narrativa sprofondano il lettore dagli enigmi iniziali alle avventure in flashback (c'è anche un incontro dell'eroe con il prigioniero di Sant'Elena, che gli affida il suo legato ideale); dagli scorci di vita dei bassifondi (che provocano il confronto coi coevi penny dreadful britannici) alle case eleganti dei poteri finanziari di Londra. Con sapore a tratti straniante per chi non conosce ancora una serie di tasselli: un effetto peraltro maliziosamente corteggiato dal narratore. Ciò che può colpire per i toni accesi (stante anche la successiva amicizia di Féval con l'immenso narratore inglese di affreschi popolari, Charles Dickens) è l'ostilità verso la perfida Albione. È l'Impero britannico il bersaglio della complessa, titanica vendetta articolata dal marchese di Rio-Santo; e in particolare quell'Inghilterra che irlandesi e scozzesi (variamente attivi nelle pagine del romanzo) vedono come centro di odiosa oppressione. Ma questa dimensione politica (o fantapolitica, considerando i risvolti) è caricata del panorama di un mondo inglese ignobile, qualcosa come la proiezione fuori tempo di certe incisioni di Hogarth brulicanti di ceffi mostruosi: una pirotecnia di brutture che si allarga attraverso i gangli di un intero mondo economico, nell'affresco trasversale di una società-mercato dove tutto è in vendita. A quel punto anche la vendetta di Rio-Santo non può che appoggiarsi su poteri che proprio al vile denaro mirano… Féval intende condurre il lettore a una progressiva rivalutazione del suo eroe nero, facendo comprendere poco per volta, attraverso analessi e racconti, il senso di azioni altrimenti spregevoli; e comunque alla percezione di una tortuosa nobiltà di lui, anche se poi l'autore simpatizza con le vittime, maschietti un po' insipidi orbati delle fidanzate e damsel in distress sottoposte ad angherie di vario genere. Ma da un lato "l'esaltazione dell'innocenza come forza eroica" (cito dall'aletta di copertina) non conduce i buoni a successi completi, lasciandoli anzi alla deriva di una certa mediocrità (e forse il personaggio positivo più intenso è Suky Spencer, la ragazza dalla tormentata infanzia che verrà indotta a fingersi principessa, incassando però una penosa sconfitta sull'unico fronte che davvero le interessa). D'altro canto lo stesso marchese non convince fino in fondo, con scelte che restano incomprensibilmente cervellotiche (i suoi maneggi tra donne, per esempio, che all'inizio gli rendono ostile il lettore ma anche in seguito lasciano perplessi) coniugate ad altre di assurda ingenuità. Se nella conclusione la sua figura resterà a svettare aureolata di titanismo eroico, il personaggio appare insomma venato di strane ambiguità e goffaggini, forse anche per gli strappi alla storia causati da una genesi inizialmente in progress, a puntate. Al contrario i veri vincitori sono piuttosto i furfanti. Anzitutto quelli simpatici e di piccolo cabotaggio, come il capitano Paddy che compare fin dall'inizio con la sua coorte di fedelissimi, che tuttavia, al di là dell'aria buffa, svelano a tratti connotazioni poco rassicuranti. Ma persino i veri vilain, come lo spaventoso falsario ebreo Ismail Spencer (un certo antisemitismo è palese, ma l'istrionica, tormentata impunità del personaggio finisce col rendere la maschera meno odiosa e prevedibile) o l'algido, mostruoso dottor Moore: non semplicemente avversari da contrapporre per un vivace intreccio, ma veri e propri mattatori del nero per un pubblico assetato di tinte forti. Un buon bilancio è quello proclamato con parole di Paul Morand in quarta di copertina: Les Mystères de Londres rappresenta "il vero punto d'incontro tra i romanzi libertini e il futuro romanzo poliziesco". Anche se lo scabroso resta sempre nei limiti del presentabile sul "Courrier français", Sade è dietro l'angolo; e proprio simili labirintiche Sin City saranno più avanti territorio d'indagine delle schiere di eroi della crime fiction. Ma nella scatenata spregiudicatezza di questi Misteri c'è un pessimismo che pare più moderno delle istanze positive/positivistiche del poliziesco classico, e prelude piuttosto (con un surplus di folle) al noir: la percezione disincantata di una putredine dei poteri nel segno dell'utile (polizia inefficace e corrotta, processi iniqui o inutili, amministrazioni addomesticate persino al manicomio di Bedlam) che nessun detective potrebbe mai inchiodare. Un orizzonte in cui la giustizia, quella vera, si intorbida continuamente in punti di vista di parte, o resta valore di singole interiorità coraggiose, con la fragilità e le sconfitte che ciò comporta.   Franco Pezzini  

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