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Rimasto inedito fino a pochi anni fa e venuto recentemente alla luce grazie ad Adelphi. La Ortese è uno dei miei autori preferiti, se non altro per quel “Cardillo addolorato” che io considero uno dei più bei libri della letteratura italiana del ’900. Ma ancor di più per quello strano, affascinante e arduo "Porto di Toledo", libro immenso a mio parere. E qui, in questa novella, l’ambientazione è la stessa del Cardillo (una Napoli di fine ‘700) e vi compaiono alcuni personaggi del più famoso romanzo (di ben più ampio respiro) e un episodio in esclusivo particolare che compare anche nel romanzo, ma la storia (scritta più o meno nello stesso periodo) prende una piega diversa, più intima e raccolta, raggiungendo vette che spesso solo i racconti (o i romanzi brevi) riescono a conquistarsi grazie alla loro concisione, alla forza di sintesi, alla rinuncia di tutto il superfluo, e riescono così a luccicare come piccole gemme.
Incantata e incantevole favola di Annamaria Ortese, raccontata con l'elegante sobrietà di stile che ha fatto di questa autrice un autentico classico della nostra letteratura. Il lungo racconto inedito pubblicato da Adelphi nel 2010, dodici anni dopo la morte dell'autrice, ripropone temi e atmosfere tipici della scrittrice napoletana. La sua città, quindi, magica e sospesa in un'eternità di colori tenui e sentimenti forti, ambientati a fine 700, tra la reggia borbonica e la plebe di Santa Lucia e i Gradoni di Chiaia: "Il popolo vi era un po' infelice ma garbato; la borghesia, piccola e grande, quieta; l'aristocrazia si divertiva, come sempre, in modi finissimi, e credeva e amava la stessa cosa che il popolino. La Fede era grande". Appunto, la Fede. La devozione che sa sedare gli animi turbati, quasi anestetizzandoli. Nessuna ribellione, in questo racconto, verso le ingiustizie del destino, le malattie e le morti precoci, i fallimenti economici, lo sfruttamento delle classi inferiori. Aleggia ovunque una rassegnata accettazione della storia e della sofferenza, del "mistero doloroso" che è la vita tutta, a cui nessuno può sottrarsi. Mare e cielo, amore e pianto, in una fiaba che sembra rimodellarsi su quella di Cenerentola, ma privata del lieto fine. Giustamente la postfatrice Monica Farnetti vede nella protagonista adolescente, Florì, quasi un calco della Silvia leopardiana, nel suo virgineo pudore, nella tranquilla e silenziosa operosità accanto alla madre sarta, nei primi non sopprimibili trasalimenti amorosi. E tutti i personaggi vengono descritti con uguale accurata lievità: dalla mamma Ferrantina, solida e modesta, presto vedova dopo un matrimonio infelice; al giovane Cirillo, nipote del re, che si invaghisce della spirituale bellezza della ragazzina, ma rinuncia a lei per obbedire alle convenzioni sociali, perché sa che solo "nell'acqua stellata dei sogni vivono gli ultimi regni, passano gli ultimi arcangeli. Il resto, non è che una grande noia."
Un racconto incantevole, che contiene alcune tra le pagine più belle di Anna Maria Ortese.
Recensioni
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"Nell'acqua stellata dei sogni vivono gli ultimi regni, passano gli ultimi arcangeli. Il resto, non è che una grande noia". Si chiude così Mistero doloroso, lungo racconto inedito di Anna Maria Ortese, sintetizzando in due righe anche la più profonda vocazione di Ortese, l'ascolto creaturale dell'immaginario, l'apparizione e la visione nascoste dentro la realtà. Mistero doloroso, qui corredato da una bellissima postfazione di Monica Farnetti, Era il maggio odoroso, che a Ortese ha dedicato alcune delle sue più intense pagine, potrebbe sembrare a primo acchito una scrittura succedanea del Cardillo addolorato, il romanzo con cui Ortese, dopo anni di rumoroso silenzio, tornava al grande successo di pubblico. Ma non lo è. Contiene un'intimità tutta diversa e con il Cardillo condivide solo i nomi di alcuni personaggi, don Mariano Civile, nel Cardillo padre della protagonista, la fredda Elmina, e qui nonno della vera protagonista, la giovanissima Florida, detta Florì.
La Napoli settecentesca che funge da giardino favolistico è qui molto meno hoffmaniana di quanto accadesse nel Cardillo, dove le lenti magiche e i monacielli-bambini, che sono anche animaletti, uccellini, vecchi gnomi, restituivano alla città immaginata da Ortese il suo tono vagamente tedesco e romantico. Anche qui c'è la favola, è vero, ma è più solare, meno ombrosa, benché le apparizioni non manchino.
Questa è una storia d'amore e di madri: Ferrantina, la madre di Florì, anche lei chiamata in abbreviazione Fertì, è una donna sposata controvoglia, per obbedienza al padre, e mai amata da De Gourrieux, scultore. Il principe del Cardillo, invece, anche lui di nome francese, era innamoratissimo della fredda Elmina. Elmina è nordica, Ferrantina è luciana, ovvero originaria del quartiere di Santa Lucia, che Ortese descrive abitato da uomini alti e chiari di capelli, eredi di soldati francesi passati per Napoli. E se qui si vede in trasparenza il movimento dell'immaginazione dell'autrice, il rincorrere un nome o un luogo, declinare le possibilità nascoste nell'immaginazione che avrebbe poi partorito il Cardillo (Santa Lucia, lo straniero, la creatura mistica), è possibile rintracciare però temi completamente diversi e mai così chiaramente detti come in questo racconto: il rapporto madre-figlia e le triangolazioni amorose. Fertì non crede nell'amore (meravigliose le righe in cui è descritto l'ultimo addio al mai amato marito, impazzito dopo la morte del loro primo figlio); Florì, invece, nemmeno è ancora donna che già s'innamora di Cirillo, principe di Borbone. Sua madre si vergogna di quest'amore: Florì, che ha solo dodici anni, non sa come manifestarlo. E ancora: il non bellissimo Cirillo è oggetto di contesta fra due nobildonne, una, Carolina Durante, più vecchia di lui e molto innamorata, l'altra, Alessandrina Minutolo, bellissima e arrogante; ma Cirillo, alla fine, scopre il vero amore, mai vissuto, nella piccola popolana Florì.
Triangolazioni, scambi, equivoci: sono le donne, qui, a contare, Carolina che è triste e non attraente, ma che verrà infine scelta come moglie, beghina, chiede preghiere ai suoi dipendenti, anche a Fertì e Florì, sarte di casa; Alessandrina che è la faccia-sirena di Napoli, tanto che Cirillo, camminando per le strade, la riconosce nel panorama, nel cielo, in Castel Sant'Elmo, nei fiori di questa città tutta odorosa nell'immaginazione ortesiana, perché è la città degli adolescenti, ancora giovani e però facili all'invecchiamento, come spesso si dice del Borbone, che sembra assai più vecchio della sua età, diciannove anni appena, perché i nobili nascono vecchi.
E fra le donne si declina anche il senso d'appartenenza sociale, perché Fertì, che è sarta ma è stata moglie dello scultore più noto in città, si considera una serva e vuole che sua figlia cresca all'ombra della sua stessa condizione, mentre il Borbone non ha cognizione del suo essere re, ed è detto fortunato per essere re di Napoli: vuole fuggire all'estero, vuole la libertà che non può avere. L'amore abbatte queste trincee, tant'è che Carolina Durante prende confidenza con la sarta e le rivela il suo dolore di non amata e il principe crede opportuno consegnare i doni per la bella Alessandrina a Florì, salvo poi innamorarsene guardandola da dietro una vetrinetta.
L'amore di Mistero doloroso passa attraverso gli specchi dell'illusione, dell'inganno, dell'età: Fertì che crede di vedere sul letto della figlia un ricco bambino e ne è gelosa, Cirillo che saluta dalla carrozza Florì o la rivede attraverso la vetrina del negozio, il silenzio velato di una chiesa, il salotto ricco di casa Durante. Per un istante questo racconto, che è una favola, tanto che Cirillo bacia il piede di Florì-Cenerentola, diventa parabola dell'amore impossibile e mancato, tema biografico e letterario di Ortese.
E proprio qui s'incrocia con un altro grande racconto del nostro Novecento, Lo scialle andaluso di Elsa Morante: madri e figli o figlie, incontri irrisolti, rapporti mai sanati e il tono della favola, come del resto in L'isola di Arturo e in Menzogna e sortilegio.
"Chi non ha visto una chiesa di Napoli durante una novena, chi una sera di maggio non ha lasciato le strade strette immerse in un odore di marcio e di fiori per entrare in una chiesa dove l'altare maggiore sia coperto di migliaia di bianchissimi gigli, rose e tuberose, non sa cosa siano i sogni, la luce, il dolore": questa città non è quella senza mare del Mare non bagna Napoli, è diventata un luogo ideale, sanata dalla memoria e dalla trascendenza, ma le passioni che vi si agitano, così asciutte, così essenziali e intime, sono le stesse di tutti i libri di Ortese e la tensione di stile le consuma e le esalta.
Così è fin troppo facile accostarle il tragico amore incestuoso di Anna soror di Marguerite Yourcenar, quello racconto d'esordio dell'autrice, riscritto nella maturità, questo, Mistero doloroso, racconto degli anni anziani di Ortese, quando la giovinezza riappare sotto un nuovo aspetto e i vecchi, come gli scrittori, tornano bambini: semplici, perfetti.
Antonella Cilento
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