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Bel romanzo giallo nel quale le indagini su una serie di omicidi, apparentemente slegate, confluiscono tutte in un'unica inaspettata soluzione
Non male come libro di esordio. Buona trama, personaggi ben definiti, trama degna di u n buon thriller, colpo di scena finale. Un romanzo, tutto sommato, godibile, piacevole lettura, Quattro stelle meritate.
Ciò che mi ha spinto a comprare questo romanzo è stato principalmente il fatto che fosse un giallo, il mio genere preferito, e per di più ambientato a Torino, la mia bellissima città, misteriosa, Crime al punto giusto e con quel tocco di Noir storico che sempre bene si è prestato ad ambientazioni di questo genere. Insomma per un attimo ho sperato di poter assaporare nuovamente le emozioni che ho provato leggendo gli innumerevoli romanzi della Baltaro e le indagini del suo commissario Martini, o di rivedere gli scorci, i panorami e addirittura i profumi, ben descritti dalla premiata ditta Fruttero e Lucentini con il loro ben educato e ben ambientato Commissario Santamaria, per non parlare poi delle strade, dei vicoli, delle atmosfere e perfino delle curiosità storiche ben descritte da altri illustri scrittori torinesi nella compianta collana fogola. Ma in questo romanzo più del nome di qualche strada, altri riferimenti alla città non ce ne sono stati. Anzi, a pag. 52, l'autore, nel citare Piazza Vittorio Veneto (Piazza Vittorio e basta per gli amici) compie addirittura un errore clamoroso chiamandola Piazza Vittorio Emanuele, e mi meraviglio che a farlo sia uno scrittore del posto. Una leggerezza di non poco conto. Ci sono inoltre all'interno del racconto un po' troppi stereotipi, con un Vivacqua prigioniero di una sicilianitá esasperante, che va dal carattere burbero alle solite esclamazioni dialettali che alla lunga poco si sposano con un professionista trapiantato da temp al Nord, a parere mio un bel Montalbano ma nel posto sbagliato, per non parlare dell'appellativo di "Capo", utilizzato dai suoi uomini, più adatto ai film polizieschi americani che alla nostra bella Polizia italiana, dove il Commissario rimane Commissario o se nella squadra non si è ancora raggiunto quel grado di familiarità per chiamarsi fra loro addirittura con il nome di battesimo, viene chiamato "Dottore" e non Capo. Nell'insieme una storia ben scritta, interessante e molto coinvolgente.
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