Per l'intelligenza e le qualità letterarie, per l'intensità drammatica della vicenda umana e la ricchezza di esperienze e di incontri, questo scritto di Gisèle Freund, il racconto della sua vita, si distingue nettamente dagli scritti che spesso accompagnano i volumi di fotografie, anche quando gli autori sono personaggi famosi. La storia individuale di Freund si fonde con quella segnata dagli eventi tragici che seguirono l'affermazione del nazismo. Con una Leica che il padre le aveva regalato alla fine del liceo aveva ripreso le ultime manifestazioni di opposizione in Germania, prima che diventassero impossibili. Aveva anche fotografato le atroci violenze naziste sui suoi compagni e quando fuggì in treno verso la Francia aveva con sé questi inediti, importanti documenti di denuncia. L'incipit del libro è appunto di lancinante suspense: mentre è in treno, viene perquisita dalla polizia segreta nazista. Il suo sollievo è grande quando oltrepassa la frontiera. A Parigi doveva scrivere la sua tesi sulla fotografia francese nel XIX secolo, diventata un'opera di riferimento per gli studiosi di fotografia. Walter Benjamin, come lei apolide rifugiato a Parigi, la incoraggia e sostiene nel suo lavoro di ricerca, che cita frequentemente nei suoi saggi. L'incontro con Adrienne Monnier, la libraia della rue de l'Odeon, ha un effetto decisivo nell'avvio della sua carriera, perché, con la sua amica Sylvia Beach, libraia alla Shakespeare and Co., permette alla giovane rifugiata tedesca di conoscere e fotografare i celebri scrittori che frequentavano le loro librerie: Malraux e Sartre giovani, Paul Eluard e Louis Aragon, Virginia Woolf poco prima del suo suicidio, James Joyce. Ma Freund non è stata solo una fotografa di scrittori. Come ampiamente racconta nel suo libro, ha realizzato molti reportage di forte impegno sociale, sia in Europa che in America Latina, dove visse, profuga un'altra volta, dopo lo scoppio della seconda guerra mondiale. Il suo vero debutto da fotoreporter era avvenuto nel '36, su invito di una rivista appena apparsa negli Stati Uniti. La rivista era "Life" e il suo incarico riguardava le "distressed areas" dell'Inghilterra. "Quando arrivai a Newcastle upon Tyne, − racconta, − l'intera città era senza lavoro. I cantieri navali, i cui capannoni erano per metà crollati, sembravano rovine di guerra. Tra le rotaie aggrovigliate e arrugginite spuntavano erbacce e qualche fiore. Avevo l'impressione di visitare un cimitero. I sussidi ai disoccupati impedivano giusto di non morire di fame a loro e alle loro famiglie. Fotografai uomini distrutti, sfiniti e a brandelli, ridotti all'inattività da anni". Ma l'incubo nazista sovrasta la sua vita. Per lei, come per tanti altri esuli, Parigi non è più un'oasi di serenità. La Blitzkrieg dei tedeschi si avvicina alla capitale. Per fortuna, a Gisèle si apre una porta inattesa, nel 1940: Victoria Ocampo, intellettuale argentina di grande prestigio, "una cittadina del mondo, e una donna di bellezza straordinaria", le offre ospitalità a Buenos Aires. E procura alla giovane profuga ebrea i documenti necessari. Gisèle approfitterà del soggiorno per viaggiare e fotografare l'America Latina, sino alla fine della guerra. Gli anni vissuti in America Latina, che attraversò in lungo e in largo, furono la stagione più avventurosa della sua vita, in particolare per l'ardimentosa spedizione nella Terra del Fuoco. In America Latina tornerà più tardi, di nuovo in Argentina, dove il grande reportage su Evita Peron pubblicato da "Life" susciterà addirittura un incidente diplomatico. Gisèle Freund se ne è andata nel 2000. Il mondo e il mio obiettivo è una straordinaria lezione per chi aspiri a fare della fotografia una vera motivazione dell'esistenza. "Ai molti giovani che desideravano divenir fotografi professionisti e mi chiedevano consigli, mi sono sempre limitata a rispondere: Aprite gli occhi e il cuore, appassionatevi al destino dell'uomo su questa terra sconvolta e fate del vostro apparecchio un testimone del nostro tempo". Mario Dondero
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