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Questo studio del filosofo Bruno Moroncini è dedicato alle parole e ai silenzi di due grandi figure del pensiero e della poesia novecentesca: Heidegger e Celan, accomunati non solo dall'uso della lingua tedesca, ma soprattutto dalla presenza testimoniale alla tragedia del nazismo e dell'olocausto. Viviamo in un mondo e in un'epoca storica in cui "tacere è proibito, parlare è impossibile": tacere e parlare, cioè, del senso e del non senso della nostra esistenza. Un mondo che ingloba tutto, che non ha più un fuori cui rapportarsi, si pone in una sorta di regime del senso, di perdita di significazione, in una chiusura conservativa che esclude rischio e libertà, in cui l'azione stessa "finisce per fabbricare cenere". Heidegger non è ancora stato riabilitato moralmente a causa della sua adesione al nazismo: davanti al non-senso della follia hitleriana, il filosofo che pure aveva saputo coniugare nei suoi testi teorici la dignità umana con l'assoluta libertà, regredisce a una complicità effettiva con l'orrore, optando per una distaccata apatia. Diversamente da lui, Celan sceglie di parlare, pur consapevole che i suoi versi "devono dismettere il senso per farsi puri significanti del nulla di senso, della sparizione del mondo". "Parla anche tu, / parla per ultimo, / dì la tua sentenza. / Parla - / Ma non dividere il sì dal no. / Dà alla tua sentenza anche il senso; / dalle l'ombra". La parola poetica nella sua luce deve tenere conto dell'oscurità, senza la quale nulla risulterebbe. Celan scrive poesie dopo Auschwitz, contravvenendo all'interrogativo adorniano. Ma le scrive inabissandosi nell'oscurità, nell'indicibilità, nel quasi mutismo dell'angoscia. Moroncini rilegge il poeta romeno con un'adesione empatica e riconoscente, perché al di là dello strazio, della morte, dell'incenerimento, Celan tenta comunque di recuperare un rapporto con l'Altro, con l'Oltre: "Scese, scese / scese una parola, scese / scese attraverso la notte, / volle risplendere, volle risplendere".
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