L’articolo è stato aggiunto alla lista dei desideri
IBS.it, l'altro eCommerce
Cliccando su “Conferma” dichiari che il contenuto da te inserito è conforme alle Condizioni Generali d’Uso del Sito ed alle Linee Guida sui Contenuti Vietati. Puoi rileggere e modificare e successivamente confermare il tuo contenuto. Tra poche ore lo troverai online (in caso contrario verifica la conformità del contenuto alle policy del Sito).
Grazie per la tua recensione!
Tra poche ore la vedrai online (in caso contrario verifica la conformità del testo alle nostre linee guida). Dopo la pubblicazione per te +4 punti
Tutti i formati ed edizioni
Promo attive (0)
Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
Ogni nostra fibra, ogni granello di stento e di domanda sulla vita e i suoi opposti sono ancora lì, sul quel monte a Davos, fra fittissimi sfondi nevosi e coperte sulle gambe, fra lastre in un'io senza mai chiarezza impigliato nel padre di ogni cosa, il Tempo. Aspettare, ecco l'essenza sontuosa che aleggia fra quelle verande. Aspettare: verbo che da solo vale un trattato, "quell'immobile eternità che rende difficile comprendere come possa produrre mutamenti". E che fra i fogli di questa grandiosa tragica sinfonia lascia colare note d'amore, vitalità, compassione ed enigmi a livelli di potenza irraggiunta. Castorp fa scalo dentro se stesso e noi con lui ci addentriamo fra le nebbiose sale del capire, del conoscere, incastri alati di religione e filosofia, polmoni smangiati e conversazioni infinite. Terra e astrazione, concetto e presa, questo il poderoso e mai calmo equilibrio su cui la creatura prova a tenersi, genio dialettico senza uscita dove due alfieri del sentire si scontrano su una scacchiera provata. Scelgo Naphta oltre ogni dubbio, coerente fino all'assoluto, laddove Settembrini è il normale borghese figlio della contraddizione. Settembrini viene a patti con se stesso sapendo di mettere in conto anche cedevoli menzogne senza uscita. Naphta è integerrimo fino al gesto contro se stesso. Eterno scontro fra pensare ed essere, fra male e progresso, stanze senza morale e senza luce ultime, mentre gli echi di cannoni laggiù aprono il sipario del secolo e costringono a una scelta. Vita contro attesa, dilemma contro coraggio, lotta fra "l'appartato universo di quelli di lassù" e il disperato vagito di un Novecento che nasce, che ridisegna il mondo, che ridisegna l'uomo. Mostruosa summa di ogni autentica febbre letteraria, pagine sacre, magne, dove la morte interroga e detta fra i suoi stracci di seducente dissolutezza. Impuro mistero sotto la coltre di sorrisi condivisi, vana esattezza di un incontro, pozza e nitore. Opera che vale le ali di un miracolo.
Solo una nota sulla traduzione dell'aggettivo del titolo, che secondo me è più che corretta, e da preferire senza esitazione a "incantata". Come si legge nel ricco testo che correda il volume tradotto da Colorni, è importante cogliere l'elemento attivo dell'influsso che il contesto del sanatorio e della montagna ha su Castorp. L'aggettivo "incantato" non rende questa forza magica che è una forza di trasformazione.
Una traduzione e una curatela che non hanno rivali, in una delle prestigiose e più continuative collane della nostra editoria. Possedevo anch'io, come tanti, il vecchio librone di tela verde Dall'Oglio. E lì avevo intrapreso anch'io, giovane, la scalata alla montagna incantata o magica, che come in un film spielberghiano o negli antichi miti rappresenta il male, la maledizione e la malattia. Con il nuovo Meridiano Mondadori, un testo con un metatesto tanto le note e le spiegazioni sono fitte e ponderate, l'ascesa al sanatorio di Davos, che Mann conosceva avendo accompagnato la moglie per una cura, coincide con il travaglio dello scrittore che, come ci viene ricordato, concluse in anni e anni il suo capolavoro, con la dolorosa, e per lui depressiva, interruzione della Grande Guerra. E non sarà un caso che la storia dei due giovani cugini borghesi, rampolli della ricca classe imprenditrice di Lubecca - quindi simboli della gloria materialistica anseatica - termini con la morte del primo e la probabile morte del secondo, Hans Castorp, arruolatosi nelle file tedesche per la mattanza nelle trincee di fango e paura. E dove è finito tutto il mondo sospeso - non solo la Lubecca mercantile e distinta da cui proviene - ma il scintillante e super organizzato sanatorio dove gli ospiti pranzano e cenano e fanno le gite come se niente fosse, prima di essere trasportati all'alba, cadaveri, fuori dal loro cupido e cupo rifugio, per non spaventare gli altri ammalati, provvisoriamente sopravvissuti, ma segnati dal comune destino? Nelle pagine finali, quel mondo appare così lontano, inutile e falso, sebbene lì s'annidasse il richiamo pernicioso della dissoluzione morale oltre che fisiologica. Ora la Guerra Totale. Il Male Totale è arrivato. E quanto superati e vani appaiono anche i precetti - vere e proprie predicazioni - che il suo mentore razionalista Settembrini aveva impartito al giovane allievo sperando di salvarlo. Nella lotta con il male, questo ha vinto.
Recensioni
Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
Nel prologo a La montagna magica (traduzione di Renata Colorni), ovvero nella premessa a La montagna incantata (traduzione di Ervino Pocar), Thomas Mann si prepara a raccontare la storia di Hans Castorp, "un giovane uomo come tanti" [Colorni] ("un semplice giovanotto" [Pocar]), "in modo preciso e minuzioso" [Colorni] ("con esattezza e a fondo" [Pocar]), poiché ritiene che "sia davvero avvincente solo ciò che viene approfondito in ogni dettaglio" [Colorni] ("soltanto ciò che va in profondità riesce a divertire" [Pocar]). Al momento dell'addio, nel crogiolo della "voluttà smaniosa e maligna" [Colorni] ("febbre maligna" [Pocar]) della guerra, constateremo che è stato di parola: nessun dettaglio ci è stato risparmiato.
Per questo è così importante ogni parola, ogni sfumatura, ogni salto di ritmo del testo, che ogni traduttore declina a modo suo. La nuova versione, che non si può non ammirare, non "supera", non annulla la precedente, la rende anzi più viva con la forza del confronto; e sul confronto sarà basata questa presentazione, che apprezza entrambi i testi, anche se non nasconde la preferenza per il più recente.
L'eroe "non eroico" di questo grande romanzo di formazione è "una specie di foglio bianco tutto da scrivere" [Colorni] (Pocar equivoca traducendo "incerto com'era"). Saranno le esperienze vissute nel sanatorio di Davos, il contatto quotidiano con la malattia, il dolore, l'amore e la morte, la feroce tenzone tra gli irriducibili antagonisti che si contendono la sua anima, il democratico Settembrini e il reazionario Naphta, a far diventare uomo quel giovane di ventitrè anni, laureato in ingegneria; fino alla sua decisione di tuffarsi volontariamente nella "sagra di morte" del 1914.
L'itinerario è scandito da alcune parole ricorrenti anche a centinaia di pagine di distanza, tracce cui Mann assegna la funzione di motivi conduttori (Leitmotive), che per la prima volta Colorni identifica con rigorosa coerenza: un risultato che basterebbe a rendere imprescindibile la nuova traduzione.
Una delle prime è il "pudico rabbuiarsi" [Colorni] ("accigliamento costumato" [Pocar]) del protagonista quando ode nella stanza a fianco i rumori inconfondibili di un amplesso coniugale. Le due parole torneranno dopo più di 250 pagine di fronte all'impudicizia della radiografia toracica. Pocar manca l'appuntamento, poiché la seconda volta traduce "col viso decorosamente offuscato".
Leitmotiv di tutto il romanzo è la definizione che Settembrini dà del suo giovane amico: Sorgenkind des Lebens, "riottoso figlio della vita" [Colorni]. Pocar traduce "pupillo", senza aggettivo, con grave perdita di significato. Da Leitmotive sono caratterizzati tutti i personaggi. Scharf (tagliente) è detto costantemente Naphta, l'ebreo gesuita apologeta del sangue e del terrore. Colorni traduce sempre "caustico". Pocar oscilla tra "spiccato", "affilato", "penetrante", "acuto".
Nel sanatorio i sentimenti vanno tenuti a freno. Neppure a un moribondo è concesso lamentarsi con troppa foga. "Non si comporti in questo modo!" [Colorni], ammonisce il responsabile dell'istituto. "Non faccia lo stupido!" traduce un po' brutalmente Pocar. Travolto dall'amore irresistibile per una giovane signora "sciatta" e "incantevole" [Colorni] ("trascurata" e "deliziosa" [Pocar]), che gli ricorda un compagno di scuola del quale fu tacitamente innamorato, Hans però non cerca affatto di dissimularlo. Tanto più che non è il solo; un altro ospite la guarda "con una timidezza e un'insistenza paragonabili a quelle di un cane" [Colorni] ("con una timorosa invadenza che toccava la servilità" [Pocar]).
Fin dai primi incontri Settembrini, paladino della vita e della ragione, insiste perché il giovane ingegnere si sottragga al fascino perverso della montagna, cioè della malattia e della morte. Ma Hans trova "irragionevole" [Colorni] ("contro il buon senso" [Pocar]) il suo invito a tornare a valle. Allora Settembrini sbotta: "I miei rispetti alla ragione" [Colorni] ("M'inchino al buon senso" [Pocar]). L'ironia è il Leitmotiv stilistico del romanzo.
La resistenza a quel fascino perverso è il perno etico della vicenda e l'argomento del capitolo centrale, in cui il protagonista si smarrisce in una tempesta di neve. Dopo la primavera-estate d'alta montagna, "chiarità, asciuttezza, serenità e ruvida grazia" [Colorni] ("aria limpida, secca, serena, tutta grazia acerba" [Pocar]), è sceso l'inverno. Per la prima volta Hans, che ha comprato di nascosto un paio di sci e si allena in segreto a usarli, rischia la vita. "Sparivano i contorni delle cime, si dileguavano tra le nebbie e i vapori. Diafane superfici nevose che si susseguivano e si sovrapponevano guidavano lo sguardo verso una realtà priva di consistenza" [Colorni] ("La sagoma delle vette scomparve, svanì nella nebbia e nel fumo. Campi di neve sotto quella luce sbiadita, susseguentisi, sormontantisi, guidavano l'occhio verso l'irreale" [Pocar]). Dal pericolo mortale nasce, dopo un lungo sogno, una consapevolezza che è la chiave del romanzo: "La diserzione della morte è nella vita
Non intendo concedere alla morte il dominio sui miei pensieri" [Colorni]. Pocar aveva scritto "sconsideratezza" dove Colorni ha "diserzione": cambia solo una parola, ma decisiva.
Nessuna conquista spirituale è però definitiva. Hans fa ritorno al sanatorio, va a cena. "Ciò che aveva sognato stava ormai svanendo. E ciò che aveva pensato, già quella sera stessa, cominciava a non capirlo più tanto bene" [Colorni] ("non gli appariva del tutto chiaro" [Pocar]). L'ironia manniana non perdona.
Poteva essere la conclusione. Mancano invece più di 300 pagine dense di colpi di scena: decessi, suicidi, la ricomparsa del grande amore. Ma accanto a lei compare un nuovo personaggio, un uomo ricco, non più giovane, che invita tutti gli ospiti del sanatorio a far bisboccia con lui e "dirige il baccanale con i gesti raffinati delle sue dita appuntite come lance" [Colorni] ("con i suoi gesti lanceolati" traduce incomprensibilmente Pocar: quell'uomo ha semplicemente le unghie appuntite).
Peeperkorn, uno dei personaggi più riusciti di Mann, è un rivale "soverchiante" [Colorni] ("schiacciante" [Pocar]). Ma con malinconica grandezza d'animo Hans domina la propria gelosia e accetta l'amicizia che gli offre il grande uomo, una controfigura di Dioniso, che giudica "la sconfitta del sentimento dinnanzi alla vita" la sola "inadeguatezza al cui cospetto non c'è perdono" [Colorni] ("insufficienza per la quale non c'è grazia" [Pocar]). Alla sua forza vitale, che non lo salverà da una fine tragica, Hans nulla può opporre. "Che mai avrebbe potuto fare con la sua voce acerba?" [Colorni] ("Che c'entrava ora la sua povera voce?" [Pocar]). Unica salvezza è riconoscerne la superiorità. E dopo i suoi anni di apprendistato sulla montagna Hans ci riesce.
Non sveleremo ai lettori che si accostino per la prima volta alla Montagna magica il penultimo colpo di scena. Veniamo all'ultimo. Hans ha troncato ogni rapporto con le "terre basse", è parte della montagna e non intende abbandonarla, a dispetto dei generosi sforzi di Settembrini. Ma un evento più grande di lui, non previsto benché prevedibile, lo travolge insieme a tutta la sua generazione. Hans Castorp, uomo fatto, fa precipitosamente le valigie e corre ad arruolarsi. Da quel 1° agosto del 1907 sono passati più di sette anni.
Nella pagina di congedo non c'è più ironia, soltanto commozione. "Il prodotto di una scienza abbrutita, caricato con quanto di peggio si possa immaginare, sfreccia obliquamente e si pianta sul fondo del terreno a trenta passi da lui". Morirà, sopravvivrà? Mann non lo sa e non vuole saperlo. Lo abbandona così, nell'incertezza. "Addio Hans Castorp, sincero e riottoso figlio della vita! La tua storia è finita".
Andrea Casalegno
L'articolo è stato aggiunto al carrello
L’articolo è stato aggiunto alla lista dei desideri
Siamo spiacenti si è verificato un errore imprevisto, la preghiamo di riprovare.
Verrai avvisato via email sulle novità di Nome Autore