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Giovanni Battista Montini è stato a lungo considerato un esponente delle gerarchie ecclesiastiche tra i più aperti alle novità e alle sollecitazioni del Novecento. Figlio di un deputato del Partito popolare, scettico nel 1929 nei confronti del Concordato, sostituto alla Segreteria di stato durante il pontificato di Pio XII insieme al cardinale Ottaviani per compensarne gli aspetti più conservatori, estimatore del mondo cattolico francese e consigliere di De Gasperi nella costituzione della Democrazia cristiana, viene sempre dipinto come un uomo del dialogo e del confronto.
Negli anni sessanta divenne il papa del Concilio e soprattutto il promulgatore della Populorum progressio, l'enciclica nella quale si mettevano a nudo le responsabilità del Nord del mondo nelle condizioni del sottosviluppo del Sud; tali analisi legittimarono i movimenti più radicali nati in America Latina e in particolare il sorgere della Teologia della liberazione, verso la quale Paolo VI non mancò di esprimere il suo dissenso, e la cui elaborazione fu poi stroncata con determinazione da Ratzinger, prefetto della Congregazione per la dottrina della fede durante il pontificato di Giovanni Paolo II.
Montini, dal 1954 al 1963, fu arcivescovo di Milano e, finora, si è creduto che la prima giunta di centrosinistra in Italia fosse nata proprio nel capoluogo lombardo nel gennaio del 1961 grazie all'atteggiamento non ostile a tale ipotesi politica del presule. Il libro di Eliana Versace, che affianca altre ricerche già in corso nella stessa direzione, fornisce però sulla base di importanti acquisizioni archivistiche, e in particolare del materiale depositato presso l'Archivio storico diocesano di Milano un quadro più veritiero del ruolo esercitato da Montini nel decennio in cui governò la diocesi più grande del mondo.
L'arrivo di Montini nel capoluogo lombardo nel 1954 fu salutato con grande entusiasmo dagli ambienti più progressisti del mondo cattolico, che ben presto rimasero però delusi nelle loro aspettative dalle eccessive cautele. L'arcivescovo, tra l'altro, entrò in contrasto con la Democrazia cristiana milanese che, dalla metà degli anni cinquanta, era guidata dagli esponenti della Base, cioè da una generazione di cattolici che, cresciuti durante la crisi del governo fascista e la seconda guerra mondiale, avevano constatato nell'esperienza della Resistenza la possibilità che le diverse forze politiche popolari potessero collaborare con comune profitto. I difficili rapporti con i basisti erano acuiti dal fatto che Montini vedeva dietro al gruppo un progetto, ordito dall'Eni di Enrico Mattei, per influenzare la linea politica del partito e per fare compiere alla Dc un passo in direzione di una maggiore autonomia dalle gerarchie ecclesiastiche.
Gli esponenti della Base furono inoltre tra i più risoluti sostenitori della necessità di approdare a una politica organica di centrosinistra, con il pieno coinvolgimento del Partito socialista nelle responsabilità del governo locale e nazionale. Montini riteneva che accettare la collaborazione con un partito che si professava marxista e portatore di un'ideologia laicista fosse sbagliato e pericoloso e soprattutto significasse svalutare la dottrina sociale della chiesa, che da sola era sufficiente per condurre una politica di riforme sociali e di apertura ai ceti popolari. L'arcivescovo, in alternativa a progetti "pericolosi", ribadiva la necessaria convergenza e unità politica dei cattolici e l'opportunità di un programma che ne salvaguardasse principi e interessi.
Anche nei confronti di don Primo Mazzolari (1890-1959), punto di riferimento per quanti si battevano per la pace e contro la povertà, l'arcivescovo si mosse con molta cautela, pur giudicando nota Versace "improprie e inopportune" certe iniziative del parroco di Bozzolo (in provincia di Mantova) e delle persone a lui vicine. Del resto, contro i cattolici più inquieti, armò nel 1955 la penna di monsignor Olgiati che, sulla "Rivista del clero italiano" pubblicò una lettera anonima, ma da lui redatta con la supervisione dell'arcivescovo, in cui un sedicente sacerdote si scagliava contro le riviste "Adesso", "La Base", "Prospettive" e "Dibattito politico", ree di mancanza di rispetto, venerazione e ossequio nei confronti dell'autorità ecclesiastica.
Ulteriore dimostrazione dei rapporti difficili fra Montini e i "basisti" furono le riserve espresse sulla candidatura, in occasione delle elezioni politiche del 1958, di Luigi Granelli, esponente di spicco della sinistra democristiana milanese; ciò nonostante, anche in questa occasione, l'ex sostituto non mancò di garantire il suo appoggio elettorale alla Dc, l'unico partito legittimato a rappresentare le istanze dei cattolici. Analoghe avversioni e chiusure l'arcivescovo dimostrò di fronte all'avvicinamento tra Democrazia cristiana e Partito socialista in occasione delle elezioni amministrative dell'autunno del 1960, tanto è vero che anche in questa occasione Montini si adoperò con tutta la sua energia perché quel progetto non si concretasse.
Ci si chiede: se questa è la ricostruzione che un'attenta analisi delle fonti da poco disponibili legittima, perché per anni si è creato il falso mito del "vescovo progressista"? Versace prospetta l'ipotesi che sia stato un calcolo preciso ordito da alcuni esponenti della sinistra democristiana milanese per creargli imbarazzo nei circoli romani e per neutralizzare possibili pressioni sul Vaticano contro gli esponenti più rappresentativi del mondo cattolico milanese. Ma un'ulteriore risposta potrebbe essere in un termine che l'autrice utilizza spesso per descrivere l'azione di Montini e cioè "cautela", che si può tradurre nel timore, proprio anche del carattere dell'uomo, di un passo azzardato, di una scelta troppo radicale; del resto, anche negli anni del Concilio, Paolo VI si adoperò per mitigare gli eccessi e perché si intraprendesse la strada di un rinnovamento nella continuità e non quella di una rifondazione del cristianesimo.
Il libro di Versace è senz'altro un lavoro che apre nuovi scenari interpretativi e ci fa comprendere un periodo della vita del futuro Paolo VI sino a oggi ancora sconosciuto. Se si volessero individuare dei limiti a tale ricerca si dovrebbe semmai sottolineare l'assoluta mancanza nel libro a riferimenti a personalità di spicco della cultura cattolica progressista milanese di quegli anni, quali David Maria Turoldo e Camillo De Piaz, alla nascita presso l'Università Cattolica di gruppi come quello della rivista "Relazioni sociali", redatta da personaggi di spicco come Emanuele Ranci Ortigosa, Ruggiero Orfei e i fratelli Onida. Anche il ruolo del circolo San Fedele e della rivista "Aggiornamenti sociali", che non pochi problemi ebbero con le gerarchie per le loro posizioni progressiste in ambito politico e per le dichiarazioni a favore della collaborazione con i socialisti, è solo marginalmente accennato; allo stesso modo, si fa solo accidentalmente riferimento alla nascita nel 1954, a opera di don Giussani, di Gioventù studentesca, senza seguire i rapporti tra questo gruppo e Montini che, come è noto, non furono particolarmente facili, soprattutto durante il suo pontificato. Daniela Saresella
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