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Il cremazionismo è parte integrante della "morte laica", tema da tempo sul tavolo di lavoro della storiografia italiana. Catia Sonetti ne ricorda i tre fondamentali tratti distintivi: lo stretto legame con la "questione igienica", che nello stato postunitario coinvolge anche i cimiteri, denunciati quali agenti di contagio di malattie terribili come il colera; l'alta cifra anticlericale, che fa della pratica crematoria un'attività "eversiva", ufficialmente condannata dalla chiesa sin dal 1886; l'importante ruolo rivestito dai sodalizi cremazionisti nell'associazionismo politico otto-novecentesco. Il volume si diffonde sulla Società di cremazione di Livorno, in particolare rimarcandone due caratteri singolari, che ne giustificano la ricostruzione storiografica. Il primo carattere riguarda la consistenza della base associativa: dai poco meno di duecento aderenti all'atto della costituzione (1882) si passa, all'alba del XX secolo, a ben tremilatrecento iscritti; notevole è anche la quota dei cremati, che nel 1922 superano l'otto per cento del totale cittadino dei defunti. Numeri e percentuali si contrarranno a causa delle limitazioni imposte dal fascismo, comunque non prima degli anni trenta, risalendo solo parzialmente al termine del secondo conflitto mondiale. L'altra particolarità della So.crem di Livorno investe la composizione sociale che, se ancora allo scadere dell'Ottocento è a netta prevalenza borghese e massonica, in seguito si proletarizza. In misura e con rapidità maggiore rispetto al resto d'Italia, qui il cremazionismo si lascerà infatti permeare dai ceti popolari, dal movimento operaio e dalle relative rappresentanze politiche (Pri, Psi e anarchici fino agli anni venti, poi Pci dal dopoguerra), che ne guadagneranno stabilmente la guida. Roberto Giulianelli
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