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Anno edizione: 2012
Anno edizione: 2022
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Queste pagine di Max Scheler, scritte in maniera provvisoria un secolo fa, e ricostruite dalla moglie Maria per la prima edizione postuma del 1933, mantengono tutta la loro inossidabile profondità e forza polemica, vibrando intimamente non solo delle anticonvenzionali idee filosofiche del pensatore tedesco, ma soprattutto della sua appassionata fedeltà al mondo dello spirito. Il volume, ottimamente introdotto da una prefazione di Edoardo Simonotti, analizza alla radice il problema della morte, sia nel suo significato antropologico, sia nel rilievo che esso assume nella società. Proprio all'incidenza negata e rimossa del "finis vitae" nella cultura occidentale moderna, Scheler dedica pagine acute e sferzanti, che nella loro cruda veridicità sono state riprese da molti scrittori contemporanei (per esempio, in un recente volume di Luciano Manicardi, monaco di Bose). Travolto da un vitalismo effimero e da un produttivismo fine a se stesso, l'uomo moderno nega la sopravvivenza oltre la morte perché tende a negare la morte stessa, prolungando medicalmente l'esistenza quanto possibile, adulterando l'invecchiamento, espandendo il presente come assoluto. La morte è vissuta allora come "catastrofe" incomprensibile e sempre inattesa: "L'uomo moderno vive letteralmente giorno per giorno, finché ad un tratto, sorprendentemente, non v'è più alcun giorno". Ma la cristianità di Scheler si oppone strenuamente a questa rimozione, e lo fa in nome di una fede assoluta nella sopravvivenza oltre la morte, giustificata da una "eccedenza" dello spirito sulla vita, in grado di "scagliare dardi che travalicano i limiti del corpo" e il suo disfacimento. Nel momento del trapasso, quindi, la persona avverte un'aspirazione di indipendenza dal corpo, una reale esperienza di liberazione, apertura e slancio verso una diversa realtà. Questo dinamismo del "protrarsi e protendersi" oltre il corpo è quindi un atto spirituale innegabile, che eccede e supera qualsiasi contingenza.
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