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Il critico letterario Giulio Maffii dedica quindici brevi articoli alla poesia, alla sua diffusione e interpretazione, difendendo con strenua passione e esigente vis polemica la peculiarità del suo dettato compositivo, il dovere di una ricerca stilistica mai approssimativa, la responsabilità di uno studio approfondito della tradizione, insieme al coraggio di una originale innovazione sperimentale. Così recupera in alcuni interventi nomi trascurati della nostra produzione poetica nazionale (da Margherita Guidacci a Camillo Sbarbaro), rivaluta il barocco come superamento di una stagnante convenzione di stampo petrarchista, propone nomi ispanici mai abbastanza raccomandati (Salinas e Cernuda), sostiene l'oscurità polisemica dei versi rispetto a qualsiasi troppo facile prevedibilità, propone un'acuta lettura di una poesia di Fortini come esempio riuscito di "atonalità mista" che introduca il lettore ad esiti inattesi e non scontati, sull'esempio della musica dodecafonica. Ma soprattutto si scaglia con rigorosa e risentita severità contro l'autoreferenzialità contemporanea della pletora di "poeti inutili", "poeti parrocchiali", "poeti dai sospirosi lamenti" che leggono solo se stessi, ingolfano "una miriade di pseudo concorsi letterari", pubblicano raccoltine fai da te e pretendono recensioni dalla stampa locale, affollano readings e festival che sono solamente occasioni di esibizione narcisistica: incoraggiati da blog e siti del sottobosco poetico, in cui gli autori si scambiano favori e premi e citazioni vicendevoli. Cosa scrive il poeta inutile? "Semplicemente abbozzi, prose da diario segreto adolescenziale...enfasi patetiche. E poi Montaleggia, Ungaretteggia, quando si slancia Nerudeggia...non scopre parole, non osa, forse non conosce..." Introduce le similitudini con un "come", applica "orribili troncamenti, ognor, cuor, ben...". Perché scrivere poesia, se quest'arte non è tra i bisogni istintivi primari? "Le mucche non leggono Montale, e sopravvivono lo stesso".
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