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L'ennesima incomprensibile mancanza, dovuta all'assurda politica di Einaudi. Il primo romanzo di Beckett è già un capolavoro, ma da noi è stato conosciuto nella traduzione dal francese, mentre l'Autore aveva scritto questo libro in inglese. La traduzione di Gabriele Frasca dall'inglese di questa edizione è, quindi, la più fedele di questo straordinario libro, ma Einaudi lo ha fatto finire fuori catalogo. Beckett, Bernhard e Céline sono solo tre dei giganti che qualsiasi grande casa editrice vorrebbe pubblicare, ma che Einaudi tiene in ostaggio. Speriamo prima o poi si decidano a ripubblicarli o a cederne i diritti a case editrici davvero interessate alla Letteratura.
Intuendo che per uno come Beckett bastasse e avanzasse, avevo pensato di limitarmi a trascrivere l'incipit, frase di un'umiltà talmente perfetta e rassegnata che abbatte da sola ogni altra ostinazione a proseguire: "Il sole splendeva, non avendo altra alternativa, sul niente di nuovo". Ma qualche altra sillaba, pur dentro lo striminzito e vano reame del capire, del vivere e dell'agire che i suoi libri hanno disegnato nel rovinoso ossario del Novecento, forse andava spesa. Ecco dunque il tributo a un romanzo straordinario, talmente buffonescamente amaro da costringere gli occhi e l'interezza dell'animo, nel finale, a lacrime inevitabili. Si sommano troppe cose in Murphy: l'autistico sensibilissimo, lo smarrito irriso da tutti, il passivo lucidissimo che si consegna a un nulla pacificante, il depresso attorcigliato nelle sue nebbie, l'indeciso cronico, il genio coltissimo e incompreso, il candido che tutti rimpiangono. Gli episodi nei quali egli si perde ricalcano esattamente questi aspetti, come a incidere e a scoprire senza un solo filamento di dubbio una ragione messa ormai di lato di fronte agli improvvisi assalti del paradosso umano. Un amore vero ma sempre a prova di addio (proprio a causa delle eterne svogliatezze di Murphy), interessi sentiti e insieme volatili, un'interiorità giocata e descritta su una sedia a dondolo che per Murphy è un trono di riflessioni infinite, personaggi sgangherati non meno di lui (infermieri, giocatori di scacchi, alcolizzati..). E un epilogo che spacca ogni controllo e ogni stilettata critica alzando il racconto a vette di poesia sublimi. Non oso nemmeno accennarlo tanta è la gioia (anche fisica) che offrirà alla lettura. Anticipo solo che è uno dei finali più belli di ogni tempo, un'invenzione inattesa nella quale si confondono, al centro di un fazzoletto, l'umido di un bel pianto e l'umido di un sorriso. Insieme alla Trilogia, quest'opera è il suo teatro sviscerato superbamente in un ineguagliabile flusso narrativo.
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