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Anno edizione: 1997
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recensione di Arbo, A., L'Indice 1997, n.11
La strategia argomentativa di Hugues Dufourt si sviluppa su due livelli: quello storico-critico (o critico-culturale) e quello musicologico. Ma la macchina lascia avvertire un faticoso rumore di ingranaggi. Un vasto orizzonte, fatto di analogie e presupposti spesso infondati, viene attribuito ai connotati di un linguaggio, di uno stile, di una tradizione. La totalità che la musica dovrebbe lasciar emergere risulta in realtà formulata fin dall'inizio, nei preliminari di una "battaglia per la democrazia politica" che richiama l'opera al suo compito più elevato.
Sembra di capire, in altre parole, che la musica verrà fatta "parlare" più di quanto il suo statuto di parvenza lo permetta. Mentre conferma questo sospetto, il libro dissolve però, già nei primi capitoli, l'iniziale impressione di vaghezza, quando, mettendo da parte i massimi sistemi, tratteggia con mano felice l'evoluzione della musica contemporanea, lasciando avvertire il riflesso della lezione di Adorno: il cammino della musica è seguito nella "logica del materiale", penetrando nella struttura per smontare e rimontarne le componenti, analizzando le soluzioni che un'opera ha adottato in relazione alle specifiche domande poste dal suo linguaggio, illustrandone il "campo di forze", le leggi della forma che la governano. È a questo livello che si esprime l'autentico impegno delle pagine di Dufourt. Costante appare lo sforzo di sintesi, mentre lo sguardo si rivolge con sicurezza al momento tecnico del comporre; in questo senso, vero punto di partenza del libro può essere considerata l'interpretazione delle forme ellittiche del tardo Schönberg, il suo stile segnato da "stati transitivi, strappi, enigmi, momenti critici". Proprio attraverso l'immagine del "pianificatore" e del "tecnocrate" che esercita il suo potere in ambito istituzionale, traspare l'essenziale "purismo" di un'opera che, rifiutandosi di separare il valore estetico dalle "condizioni tecniche della sua realizzazione", individua il lavoro artistico nel "montaggio di automatismi" e nella capacità di "pensare secondo regole di trasformazione".
L'atteggiamento non pregiudiziale nei confronti dell'automatismo, posto a fondamento degli atti sintetici che presiedono alla formazione dell'"ordine del sensibile", si presenta come uno degli aspetti più convincenti di questa lettura del Novecento musicale. Se il capitolo dedicato alla memoria denota una parallela (ma in realtà problematica) volontà di spingersi verso una dimensione temporale più profonda in cui rintracciare il fondamento creativo di una civiltà, la scelta degli autori - e il percorso musicale che da essi si snoda - sembra avere costantemente di mira l'obiettivo finale: nel redigere "l'autopsia dell'avanguardia", Dufourt intende raccoglierne responsabilmente l'eredità. Con maggiore acutezza rispetto alle ricostruzioni storiche, la lettura rapporta l'analisi delle forme a un esame della componente sonora. La scena contemporanea viene così articolata alla luce del progressivo affermarsi del valore architettonico e dinamico del timbro, nel conflitto di parametri che segna la sua progressiva emancipazione rispetto alla variabile dell'altezza. Sul piano musicale, un'essenziale discontinuità è registrata nella condensazione e dilatazione dello spazio acustico di Varèse. La differenza di fondo si definisce nel passaggio da un'acustica "classica", portata a concepire il suono in termini di ordini o geometrie discrete, a una sua nuova versione che lo intende come una "totalità dinamica" o una "struttura dinamica di campo" i cui elementi - transitori di attacco e di estinzione, fenomeni di interferenza come battimenti, distorsioni, ecc. - sono considerati in stretta relazione reciproca.
È a partire dallo sviluppo di questa componente (e non da una lettura storico-sociale che si spinge fino a riconoscere nel movimento seriale una "volontà che discende dalle battaglie della Resistenza") che si delinea una visione aperta e progettuale del pensiero musicale contemporaneo. Tra i primi guadagni: l'informatica e l'elettronica concepite come strumenti di una nuova comprensione del campo sonoro, e un lavoro compositivo riscattato dal decorso entropico preconizzato da Adorno. L'evoluzione più recente, di là dal legame con le istituzioni e l'orizzonte sociale, viene esaminata alla luce di una fondamentale capacità di trasformazione delle strutture mirante a una maggiore complessità. In questi termini la musica "spettrale", accettando funzionalmente il fatto che il suono sia diventato un "affare dei laboratori dell'industria elettronica", dimostra di aver compiuto un considerevole passo in avanti rispetto al serialismo. La logica del materiale viene ripensata nella prospettiva del suono manipolato: rispetto alle sonorità in piena effervescenza che affiancavano i vari formalismi e rigorismi degli anni sessanta, per la nuova generazione si è trattato di elaborare una scrittura capace di raccogliere e mettere a frutto le novità. Scartato il conflitto fra altezza e timbro, la tecnica si concentra nel reperimento di un ordine del senso precedente l'organizzazione sintattica del discorso. Nella linea di tendenza che fa capo all'opera di Murail, Grisey, Lévinas, Tessier e dello stesso Dufourt, la scrittura si pone in rapporto con le dimensioni "interne" della sonorità: facendo leva "sul controllo globale dello spettro sonoro", mira a "disimpegnare dal materiale le strutture che da qui si determinano".
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