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Musica e scienza nell'età del positivismo
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Descrizione


Questo libro illustra alcuni aspetti della riflessione sulla musica nell'età del positivismo, ed in particolare i rapporti tra cultura musicale e scientifica quali si definiscono in tre ambiti, o meglio, in tre percorsi. Il primo, contiguo alla storia della teoria musicale, si snoda dalle ricerche di Helmholtz sulle sensazioni acustiche a quelle di Reiman sulle rappresentazioni sonore. Il secondo ripercorre quei momenti della storia dell'estetica musicale della seconda metà dell'Ottocento e dei primi anni del '900 nelle quali acquista rilevanza il confronto con il mondo delle scienze, della fisiologia, della psicologia e della sociologia. Il terzo esplora il dibattito sull'origine e divenire della musica sviluppatosi nell'ambito della cultura evoluzionistica.
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Informazioni:

Musica e scienza nell'età del Positivismo

Dettagli

1996
344 p.
9788815051738

Voce della critica


recensione di Bonino, G., L'Indice 1996, n.10

Il titolo di questo libro mette in relazione musica e scienza, ma in realtà un terzo elemento viene preso in considerazione nel corso della ricerca: la filosofia. Si tratta di una filosofia contigua alle scienze, in primo luogo alla fisiologia e alla psicologia, come era comune nell'Ottocento nell'ambiente positivistico ma non solo in quello, tanto da rendere i confini tra scienze e filosofia incerti e sfumati. Come si osserva nella "Premessa", il fatto che si parli di musica e scienza (e filosofia) "nell'età del positivismo" non significa necessariamente che si parli di scienza e filosofia positiviste. Non tutti nell'età del positivismo, n‚ tutti coloro che si occupavano di questioni musicologiche, avevano di fronte alla scienza un atteggiamento di fiducia incondizionata. Tuttavia nella seconda metà del secolo scorso si può osservare secondo Serravezza che "l'elemento unificante di maggior forza è proprio nel comune riconoscimento della centralità del problema [del rapporto tra scienza e musica], a prescindere dalle soluzioni di volta in volta individuate". "Tale centralità - continua Serravezza - corrisponde ad un atteggiamento di confidenza che si manifesta nel rapporto intrattenuto con il mondo scientifico. Confidenza non solo e non necessariamente nel senso di fiducia, affidamento (a volte, anzi, si registra un atteggiamento opposto), ma in primo luogo nel senso di familiarità, di contatto con una realtà comunque prossima, troppo carica di promesse e di pretese, troppo pervasivamente presente nello spazio culturale, troppo poco disponibile a chiudersi in un campo separato per poter essere ignorata".
Il libro si divide in tre lunghi capitoli, dedicati a tre temi centrali nel dibattito musicologico della seconda metà dell'Ottocento e dei primi anni del nostro secolo. Il primo capitolo, "Dalle rappresentazioni acustiche alle rappresentazioni sonore", affronta il problema al tempo stesso filosofico e fisio-psicologico delle sensazioni e percezioni acustiche. Il punto di partenza è la fondamentale "Lehre von den Tonempfindungen* di Hermann Helmholtz (la prima edizione è del 1863). In quest'opera, di impostazione neokantiano-positivistica, si tenta di fornire una spiegazione prevalentemente meccanicistica delle sensazioni acustiche, senza però escludere del tutto l'intervento di fattori di altro tipo, quali il ruolo dell'abitudine e dunque della storia. La teoria delle sensazioni acustiche è posta in relazione con le questioni musicologiche all'epoca più dibattute, come quella degli armonici o l'ipotesi dualistica che pone il modo minore sullo stesso piano di legittimità e "naturalità" del modo maggiore (ipotesi riguardo alla quale Helmholtz è molto scettico). La "Lehre von den Tonempfindungen* si colloca immediatamente al centro del dibattito musicologico del tardo Ottocento, che Serravezza ricostruisce meticolosamente. Un'altra opera di importanza fondamentale è la "Tonpsychologie" (I volume 1883, II volume 1890) di Carl Stumpf, un altro filosofo-scienziato. Stumpf, pur non rifiutando l'indagine fisiologica sulla percezione acustica, indirizza le sue ricerche verso un'analisi di tipo prefenomenologico; nelle sue teorie "la dimensione puramente psicologica fa premio (...) sugli aspetti fisico-fisiologici, messi in ombra dall'evidenza immediata dei 'fenomeni della coscienza'". Molto influente è in particolare l'elaborazione da parte di Stumpf del concetto di fusione per spiegare i fenomeni di consonanza. L'avversione al naturalismo e uno spostamento verso concezioni via via più antifisiologistiche e antifisicalistiche si può osservare anche nell'opera di Hugo Riemann e nella sua "armonia funzionale", secondo cui "non la consistenza acustica degli accordi, ma le loro diverse possibilità di interpretazione sono il presupposto su cui si sviluppano l'esperienza e la costruzione della musica". Nel quadro di queste discussioni viene indagato l'apporto di molte altre figure, tra le quali Ernst Mach, Wilhelm Wundt e Christian von Ehrenfels.
Anche il secondo capitolo, "L'estetica musicale e le scienze", riguarda prevalentemente l'ambito tedesco (ma non sono del tutto assenti i dibattiti francese e britannico). Al centro dell'attenzione è questa volta l'opera di Eduard Hanslick "Vom Musikalisch-Schönen* (1854), le cui teorie estetiche hanno interagito profondamente, mostra Serravezza, con quelle fisiologiche, psicologiche e filosofiche di Helmholtz. L'incontro del formalismo estetico di Hanslick con la psico-fisiologia di Helmholtz, apparentemente assai lontani, ha potuto avere luogo grazie alla nozione di 'Stimmung', che secondo Hanslick ha un ruolo significativo nell'estetica, in contrapposizione a quella di 'Gefühl'. Nelle discussioni estetologiche, come in quelle sulle sensazioni acustiche, si può notare un progressivo spostamento dell'attenzione dalle teorie fisiologiche a quelle psicologiche. Anche la sociologia ha intrattenuto con il mondo musicologico relazioni profonde, basti considerare le ricerche di Max Weber, Herbert Spencer e Jean-Marie Guyau.
Nel terzo capitolo, "Origine ed evoluzione della musica", l'apporto britannico al dibattito si fa più consistente. Per quanto riguarda la questione dell'origine della musica, sono confrontate le teorie di Herbert Spencer e di Charles Darwin, ma sono importanti anche il problema dell'ereditarietà del talento musicale e quello del rapporto tra musica occidentale e musiche cosiddette "primitive".
Serravezza riconosce che la sua ricerca ha un carattere eminentemente "archeologico", che i momenti del dibattito musicologico da lui indagati sono pressoché sconosciuti alla cultura musicale del nostro secolo, che i temi al centro della discussione sono mutati profondamente. "Per qual motivo ciò sia avvenuto, e perché in molti casi si sia registrata una vera e propria damnatio memoriae, sono quesiti da porre alla storia della cultura musicale del Novecento". L'impressione è che nel Novecento, forse in seguito alla reazione antipositivistica, sia venuto a mancare lo sfondo comune di discussione, che permetteva a scienziati (fisici, fisiologi, psicologi...), filosofi, musicisti e musicologi di interessarsi gli uni alle ricerche degli altri. Per questo sfondo comune non si può non provare nostalgia, dopo aver osservato la ricchezza e l'interesse dei problemi affrontati e dei risultati conseguiti "nell'età del positivismo", come il bellissimo libro di Serravezza ci fa scoprire.

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