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Anno edizione: 2006
Anno edizione: 2006
Anno edizione: 2013
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Lo sguardo lucido, obiettivo e pragmatico sulle problematiche di Napoli di uno dei piu' grandi cronisti italiani. Solo chi non ama davvero la citta' e chi non vuol vedere nè sentire, puo' bollarlo come razzista e anti-meridionale. Peraltro Bocca generalizza e inserisce i difetti napoletani in un discorso piu' ampio relativo a tutta l'Italia. Napoli siamo noi. Nella citta' partenopea come in altre del Sud si estremizzano disfunzioni dell'Italia tutta.
Una visione assolutamente lontana dalla realtà napoletana con narrazione di particolari palesemente inveri e luoghi comuni a iosa (la signora che passeggia in Tangenziale scippata della borsa è emblematico!). Si ha l'impressione che l'autore non sia mai venuto a Napoli ossessionato com'è dal suo antimeridionalismo. Essendo Bocca un piemontese mi sarei aspettato da lui una rilettura più attenta e non più mielosa del periodo risorgimentale dal quale nascono i mali maggiori di Napoli e del Mezzogiorno d'Italia.
Un libro di denuncia scritto da un settentrionale che è in grado di vedere, cogliere i gravi, gravissimi problemi di una città e dell'intero meridione. Ciò che vede sono pugni allo stomaco, mentre sarebbero carezze se a scrivere questo libro fosse stato un napoletano. La verità è che chi vive a Napoli e in meridione ha perso il senso della realtà, il divario con il nord è sempre più marcato, solo che i soldi iniziano a scarseggiare per tutti e il risultato sarà che il nord seguirà, trascinato da esso, il sud nel baratro.
Recensioni
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Il tassista che dall'aeroporto di Capodichino conduce Giorgio Bocca in città non ha inserito il tassametro. Non è che voglia rubare molto sulla corsa, uno o due euro, purché sia lui a deciderlo, lui che è più intelligente del forestiero. Da questa equiparazione tutta meridionale tra intelligenza e furbizia, tra saper vivere e arte di arrangiarsi (spesso a scapito dell'interesse collettivo), da questa "maledetta presunzione individualista per la quale un napoletano è pronto a dannarsi", inizia il viaggio di Giorgio Bocca per le strade di Napoli. Tornano alla mente certi ristoratori veneziani anch'essi spesso truffaldini con il "foresto", lo straniero, al quale si rivolgono in dialetto stretto per non farsi capire. Come a Napoli, dove la gente sembra non aver accettato la ripartizione napoleonica in quartieri, strade e numeri civici e dice ancora "'ncoppa, abbascio, affianco, vicino" a qualche luogo riconoscibile a occhio, a tatto, a odore. Questa è Napoli, dice Bocca, ma questa è pure l'Italia, aggiunge. Con la sua diffidenza per lo straniero forse perché "incompatibile con l'ambiente" come hanno detto al procuratore Agostino Cordova prima a Palmi, nel Far West della Calabria dominato da 54 clan della 'ndrangheta, e ora a Napoli dove risiede, emarginato da una giustizia ipocrita e vile che lo ha abbandonato perché lui ha osato inquisire la massoneria o spazzare via il contrabbando dalle strade, perseguendo una giustizia impossibile.
Quella che emerge dallo sguardo lucido dell'esperto giornalista piemontese è una regione chiusa e arroccata sulle sue logiche di malaffare, che scoraggia la concorrenza e gli investimenti esterni. Perché le famiglie della camorra, che con le loro aziende hanno costruito interi paesi da ottantamila abitanti (come Portici ed Ercolano), o che lavorano nel Casertano su ogni genere di appalti dalla velocità ferroviaria alle case e alle strade, costituiscono un sottopotere che funge da grande ammortizzatore sociale che i politici rispettano e dal quale sono spesso corrotti.
Napoli muore di illegalità, clientelismo e abusivismo, scrive Bocca, perché a San Gregorio Armeno tra gli abusivi del mercato c'erano pure i dipendenti del Comune e perché gli stessi dipendenti della Pubblica Amministrazione sono assunti il quintuplo del necessario. Ma la buona borghesia partenopea non si guarda in casa, mira a Londra e Parigi, al massimo va ad inaugurare la mostra dei pittori nella metropolitana e crede ancora nella "primavera di Bassolino" che, scrive Bocca, dopo essere stato un buon sindaco, ora da Governatore della Campania non sa far altro che moltiplicare Commissioni, sottopoteri e burocrazie inutili e dispendiose dei pubblici denari. Un Bassolino vittima anch'egli di quell'individualismo napoletano che lo porta a pensare che "se un intrallazzo lo fa lui sarà a fin di bene e riuscirà a controllarlo". Individualismo italico in verità, che fa di noi quel popolo di "anarchici pecoroni" come ci chiama Roberto Gervaso e che, come ebbe a dire il grande Indro Montanelli, ha tolto ai meridionali la forza e la voglia di progettare il futuro e di guardare al di là del giorno dopo.
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