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scheda di Natali, F., L'Indice 1993, n. 2
I contratti sono sacri? Sono più sacri del legame tra madre e figlio? Cosa rende un prodotto giuridico più degno di un prodotto biologico? Tali quesiti vengono affrontati dall'autrice, una giurista israeliana sconosciuta al pubblico italiano, in una originale prospettiva giuridica e femminista insieme. Sebbene le soluzioni prospettate appaiano difficilmente compatibili con gli ordinamenti di diritto continentale, il libro di Shalev non si può considerare rivolto in modo esclusivo all'esperienza statunitense. Benché il libro si apra con una rilettura del noto caso di Baby M., l'autrice non si occupa solamente di maternità surrogata. Le questioni che solleva sono piuttosto un pretesto per analizzare se e come sia cambiata la posizione economica e sociale della donna nell'ambito domestico e per verificare se sia davvero scomparsa la concezione di tipo patriarcale dei rapporti familiari. In un sistema di relazioni dove le persone possono organizzare la propria posizione interagendo in modo indipendente con altri soggetti attraverso liberi accordi, è possibile individuare una limitazione di tale autonomia per le donne, in nome delle oggettive differenze biologiche tra i due sessi? Il nucleo centrale del libro è dunque la rivendicazione del diritto dell'individuo, senza distinzioni di sesso, all'autonoma valutazione delle questioni relative alla paternità e alla maternità. La domanda che è necessario porsi è se, date le diversità esistenti tra donazione di sperma e offerta di utero, sia giustificabile rimettere all'autonomia delle parti la possibilità di ricorrere all'inseminazione artificiale e negare invece legittimità ai "contratti per concepimento e gestazione". L'autrice non ha dubbi sul carattere discriminante di una concezione siffatta. Perché la madre surrogata concepisce intenzionalmente, genera un figlio al di fuori del matrimonio, rifiuta apertamente ogni connessione tra maternità biologica e maternità sociale al pari di colui che dona sperma. Perché allora escludere la possibilità di inquadrare tale impegno all'interno di un contratto vincolante, fondato proprio sul riconoscimento delle responsabilità assunte verso un essere umano non ancora concepito?
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