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Verosimilmente, il genocidio degli armeni in Turchia del 1915 non è la prima manifestazione del totalitarismo. I gulag sovietici e poi i lager nazisti sono fenomeni diversi da quello e vanno interpretati secondo parametri differenti. Tuttavia quel genocidio, come ricorda opportunamente Dario Fertilio, ha una relazione con lo sterminio dei kulaki o degli ebrei non solo perché altrettanto agghiacciante, ma anche perché accompagna la nascita della nazione turca all'indomani della dissoluzione dell'impero ottomano. Come se la creazione del nuovo stato autoritario necessitasse di una contestuale purificazione attraverso una spietata pulizia etnica. Tale fatto è ancora più significativo se si pensa che in Turchia il genocidio armeno è stato a lungo negato o minimizzato. Questo libro, opera di uno studioso in esilio, è una delle prime analisi del fenomeno compiute da un cittadino turco. Un carattere pionieristico di cui il volume risente, perché la ricostruzione è accompagnata da una sorta di esame di coscienza, e l'analisi storica in senso proprio convive con una sorta di bilancio della rimozione, una sorta di psicoanalisi della nazione. Di sicuro, la discussione sul genocidio degli armeni è un banco di prova per la Turchia che da stato amministrativo, ammodernato negli apparati burocratici, vuole fare un passo decisivo verso una democrazia stabile, diventando un paese in grado di discutere serenamente del proprio passato. Un paese capace non solo di garantire i diritti, ma di assicurare loro il necessario retroterra etico-civile. A questo faticoso e ancora incompiuto processo il libro di Akçam porta un contributo assai utile.
Maurizio Griffo
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