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Troppo drasticamente negative sono state le reazioni sulla stampa tedesca all'uscita, nel 2005, del romanzo In seiner frühen Kindheit ein Garten di Christoph Hein per non richiedere una discussione più equilibrata, un'opportunità data dalla recente ed eccellente traduzione in italiano. Per il problematico se non discutibile stretto nesso fra verità di fatto e rielaborazione fizionale è bene riassumere abbastanza diffusamente il contenuto.
Richard Zurek, ex preside di liceo in pensione in una cittadina vicino a Wiesbaden, e la moglie Friederike intendono fare chiarezza sulla tragica vicenda del figlio Oliver, terrorista della Raf, morto in uno scontro a fuoco con la polizia sui binari della stazione di Bad Kleinen, nel Mecklenburgo, in circostanze mai sufficientemente chiarite. La versione ufficiale, secondo cui Oliver si sarebbe suicidato dopo aver ucciso un poliziotto durante la sparatoria, in realtà colpito con ogni probabilità dal proiettile di un altro militare, contrasta con la prima perizia autoptica e con le testimonianze oculari. Sull'onda di una campagna giornalistica scoppia uno scandalo politico che porta alle dimissioni del ministro degli Interni e al prematuro pensionamento del procuratore generale della corte federale. Con un'ambigua e implacabile operazione fatta di occultamenti e di reticenze, gli organi dello stato chiudono il caso ratificando l'omicidio-suicidio del terrorista e condannando all'ergastolo Katharina Blumenschläger, la compagna di Oliver.
Nei successivi cinque anni di azione narrata il padre, unitamente alla moglie e con il sostegno dell'avvocato Feuchtenberger, conduce con dignità e incrollabile costanza la sua battaglia perché, con l'accertamento della verità e la riaffermazione del diritto, cui lo stato non può sottrarsi, sia resa giustizia al figlio. Tutti i ricorsi possibili sono respinti, le lettere al ministro restano senza risposta, mentre crescono la diffidenza e il sospetto della gente e matura anche la rottura con la figlia Christin, che vede compromessa la reputazione della propria famiglia. I genitori avviano parallelamente un percorso conoscitivo e affettivo entrando nelle pieghe dell'esistenza del figlio, finora sconosciuta, comprendendo, pur senza giustificarle, le scelte di campo, e scoprendo così post mortem la sua vera natura venata di poesia e di utopia. Nell'epilogo il padre ritira il giuramento prestato allo stato come docente perché lo stato non ha saputo mantenere fede al proprio venendo meno alla tutela, mediante l'esercizio del diritto, della vita dei propri cittadini. Le motivazioni conclusive di un giudice, alle soglie della pensione, che critica le lacunosità investigative, più che rendere giustizia al singolo, quantunque colpevole, sanzionano l'allarmante debolezza dello stato democratico che rifugge dal portare alla luce verità ancorché scomode.
Hein premette alla storia fizionale del suo romanzo, il cui bel titolo è una citazione da The Black Prince di Iris Murdoch, l'avvertenza sostanziale e in apparenza sorprendente che "tutti i personaggi di questo libro sono invenzioni dell'autore", proprio perché la sua narrazione è una rivisitazione della nota vicenda di Wolfgang Grams e Birgit Hagefeld, membri della Raf, avvenuta il 27 giugno 1993 alla stazione di Bad Kleinen con modalità tutt'oggi non ancora chiarite.
Partiamo quindi dalla prima e più ricorrente critica secondo cui Hein non opererebbe il necessario "salto" sul piano compositivo per superare narrativamente il discrimine fra il piano fattuale e la proiezione fizionale. Si tratta di una contestazione in chiave narratologica che spesso non risulta disgiunta dalla riprovazione che Hein, scrittore della ex Ddr, per la prima volta, dopo il successo dell'anno precedente di Terra di conquista (e/o, 2005), opera polifonica e di così ampio respiro storico da essere considerato uno dei possibili romanzi della riunificazione tedesca, in una fase di superamento del fenomeno terroristico abbia scelto proprio un capitolo fra i più tragici e dolorosi accaduti nei paesi occidentali.
Qualche mala lingua ha insinuato che la sua riproposizione sia stata dettata da una voluta denuncia dei mali dell'Ovest quasi come compensatoria di quelli dell'Est, riesumando a distanza di anni dagli armadi quegli scheletri che già Christa Wolf aveva metaforicamente evocato in Medea (1996) contrapponendo la Colchide (Ddr) alla civilizzata e illuminata Corinto (Rft).
Non entrando nel merito sull'opportunità anche temporale di riaprire una pagina tragica, nel caso specifico peraltro ancora aperta riguardo all'effettivo svolgimento dei fatti, valutiamo il romanzo in quanto tale. Se Hein ha toccato un nervo scoperto, tanto da essere accusato di aver contribuito alla "mitizzazione della Raf", se non altro accostando la criminalità terroristica a presunte deficienze dello stato, sembra che lui stesso ne sia stato toccato, perché la drammatica densità tematica forse non è sorretta da un adeguato impianto compositivo. Rispetto alla struttura polifonica e multiprospettica di opere precedenti, la costruzione narrativa si presenta sin troppo monocorde e pilotata dalla regia incrollabile del protagonista, un padre che, come un kleistiano Michael Kohlhaas ancora interno al sistema, tenta di ristabilire nella comunità un ordine giuridico e civile. I due piani temporali, secondo cui l'incipit e l'epilogo sono collocati nel presente e contengono la ricostruzione lineare di cinque anni, non alimentano né movimentano un'azione d'altra parte coincidente con quella del padre protagonista e comunque speculare dell'arida consequenzialità di eventi giuridici e penali e della povertà dei comportamenti sociali.
Hein ripropone d'altra parte quel modulo compositivo, esemplarmente sviluppato nei primi romanzi, nell'Amico estraneo (e/o, 1990) e nella Fine di Horn (e/o, 2003), secondo il quale l'identità di una persona, con cui si è vissuto senza conoscerla realmente, è ricostruita post mortem con i ricordi, le testimonianze, i documenti. Con la consueta, sobria scrittura cronachistica che è la ricchezza della sua cifra stilistica, Hein si svincola dalla vicenda reale, descrivendo il percorso doloroso di un padre alla ricerca del figlio e rivendicando con rigore civile e morale i principi della verità e del diritto come antidoto ai possibili eccessi del potere presenti anche nella democratica Germania unificata. Fabrizio Cambi
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