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Anno edizione: 2014
Anno edizione: 1979
Anno edizione: 1991
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L’autore scrive come si potrebbe parlare ad un amico al bar, non solo del fatto del giorno, ma anche di letteratura, di omosessualità, di impegno civile, di autori antichi e moderni. Lo fa con una cultura e una maestria che pochi sono in grado di permettersi. Il compito dell’intellettuale è quello di dire che il Re è nudo; e Sciascia, facendolo, non delude. Magistrale e al passo con un’Italia che cambia, purtroppo, solo in apparenza.
Questi sono i libri che amo, la diaristica più sciolta e più libera in una forza espressiva che è il taglio fatto sui polsi della società, la lucidissima lente di un Maestro su un ammasso di carte tragiche, nebulose, sinistre, polvere contraddittoria tradotta in riflessioni magnifiche. Forse è davvero lo Sciascia migliore, l'uomo che non lesina scrupoli e affondi al cuore della vita sociale, letteraria, civile, e lo fa qui in una vastità di sguardi che includono viaggi e recensioni, cronache di vecchi libri e commenti a fatti quotidiani. Sponde di scrittura che si allargano sempre più lasciandoci in balia di pagine del suo oceano astioso, dei suoi sarcasmi quasi da sicario, di un'ironia volutamente amara che è firma di sincerità assoluta. "Poiché gli stupidi, come i corvi, sentono solo le cose morte, e sono tanti, e talmente brulicano sulle cose morte da dare a volte l'impressione della vita", lo dirà rileggendo i diari di Brancati. Ma ci si può solo perdere nella perfezione di questi brani, dove la prosa tende per lunghi tratti la mano alla poesia; i ricordi di antiche letture (il Pirandello sempre amato, La Woolf della Gita al faro, il Malraux della Condizione umana, intonso ma con una dedica strana che coinvolge la curiosità di Sciascia ai limiti di un giallo, l'Amleto - la tragedia di un rifiuto -), ma anche certi passi di fianco che possono uscire da una bellissima fotografia di Robert Capa nella quale un pastore siciliano sta indicando a un soldato americano la strada giusta (è un quadretto nostalgico di forza stupenda). Indimenticabile ancora la sua lettura di Don Abbondio, vero immortale nel romanzo di Manzoni, vero vincitore oltre le folli e contorte strade della vicenda, perché il suo carattere resta integro. Fiammate o tratteggi di pennello che siano, le occhiate di Sciascia attraversano i nostri decenni politici e i nervi della sua storia di dentro, il carattere italiano "con convinzioni estremamente fragili" e la sanguinante e lirica civiltà letteraria.
È nel 1979 che Sciascia pubblica Nero su nero, una specie di diario che comprende forse le pagine più feroci dell'autore siciliano, in cui la sua capacità di analisi raggiunge vertici elevatissimi; nulla sfugge ai suoi occhi attenti delle vicende del nostro paese e in una serie di riflessioni, o addirittura anche di epigrammi riesce a delineare, senza remore e impietosamente, un quadro nitido dell'Italia, lo stato dagli eterni fascismi nel suo periodo più oscuro e per certi versi tragico, quel decennio avviato nel 1969 e che poi furono giustamente chiamati gli anni di piombo. A volte si tratta quasi di appunti, di note a fatti di per sé insignificanti, altre invece sono pertinenti ad accadimenti piuttosto noti. Ciò che però sorprende è l'intento letterario che Sciascia sembra voler dare a questi suoi pensieri, pur senza tralasciare quella sua innata e portentosa capacità di analisi che lo ha sempre portato a mettere in discussione le verità ufficiale, per scendere in profondità, svelando nuove e spesso contrastanti altre verità. Si potrebbe dire che è uno Sciascia a tutto campo, ma pessimista, avviato inesorabilmente verso i suoi ultimi giorni, deluso - ammesso che si fosse veramente illuso - da un'Italia incapace di perdere il suo difetto ben cronicizzato, quello di essere un paese "senza verità". Evidenzio nuovamente la stupefacente capacità di analisi, perché se è relativa soprattutto a fatti notori, non manca quella di eventi che non sono stati di certo di dominio pubblico, accadimenti che si potrebbero definire privati, come incontri casuali, o stralci, a memoria. Di spunti per un'analisi ce ne sono tanti e i più svariati, da quelli che necessitano di più pagine a quelli per i quali bastano poche righe, secche, lapidarie. Insomma, in buona sostanza, ce n'è per tutti i gusti in questo libro, scritto in modo gradevole, accattivante, come solo Sciascia sa fare, quasi che fosse lì davanti a noi a raccontare. Da leggere, senza ombra di dubbio.
Recensioni
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Molto si parlò di questo libro, quando apparve nel 1979. Ma allora notando soprattutto ciò che Sciascia vi dice della realtà pubblica che lo circondava: l'Italia come paese «senza verità», dal caso del bandito Giuliano all'affare Moro, la cui ombra si stende sulle ultime pagine di Nero su nero. Leggendolo oggi, affiora però con altrettanta evidenza la sua altra faccia, più segreta: quella del libro dove Sciascia ha consegnato, con scrupolosa precisione, pagine essenziali sul suo modo di intendere lo scrivere e la letteratura, che proprio qui viene mirabilmente definita quale «sistema di "oggetti eterni" ... che variamente, alternativamente, imprevedibilmente splendono, si eclissano, tornano a splendere e ad eclissarsi e così via alla luce della verità». (Parole che vanno lette accostandole ad altre, significativamente fra parentesi, dove si dice che la letteratura «è la più assoluta forma che la verità possa assumere»). Si direbbe dunque che, in questo momento, ciò che per Sciascia era più personale e nascosto venisse naturalmente a mescolarsi con i fatti della cronaca. Così nacque Nero su nero, accumulandosi per dieci anni torbidi, fra il 1969 e 1979, ma obbedendo sempre a un imperativo di chiarezza e nettezza libro indispensabile per capire Sciascia in genere e soprattutto il suo ultimo periodo. E, di fatto, già il titolo risponde parodisticamente alla banale accusa di pessimismo che tanto spesso gli fu rivolta in quel decennio e anche dopo, offrendoci «la nera scrittura sulla nera pagina della realtà».
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