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Nel 2003, in occasione del centenario della nascita di Cornell Woolrich, una casa editrice americana pensò bene di raccogliere in un volume, intitolato Night and Fear, quattordici racconti che l'"Hitchcock della parola scritta" (così lo definisce il suo biografo, Francis M. Nevins) aveva pubblicato su riviste pulp tra il 1936 e il 1943. Per il momento, Feltrinelli ne propone otto, ma un secondo volume è in preparazione. I temi dell'amore e della morte, della follia e della solitudine, del caso e della colpa rappresentano le coordinate di riferimento dello spazio narrativo, che si propone come cifra di una crisi epistemologica universale. Secondo quanto afferma Goffredo Fofi nella postfazione, per lo scrittore newyorchese il mondo "è un luogo incomprensibile in cui capita che le travi crollino, e sono destinate a crollare perché vengono scardinate da poteri maligni; un mondo governato dal caso, dal fato e da un dio crudele e assassino". Un universo tragico, insomma. E se, come aggiunge, per Woolrich "essere in trappola è la condizione umana per eccellenza", allora il racconto che forse meglio di altri riassume il senso della raccolta è proprio quel New York Blues che le dà il titolo, uscito postumo nel 1970. L'azione si svolge in una stanza d'albergo, dove un uomo si nasconde, pur sapendo che presto qualcuno verrà ad arrestarlo per un delitto commesso alcuni giorni prima. Una fuga improvvisa nello spazio della mente parrebbe il solo modo per evadere dalla prigione in cui è rinchiuso: "Devo uscire di qui. Devo abbattere queste pareti, queste pareti solide, saldate ermeticamente, e creare uno spazio sterminato, per correre, e continuare a correre e correre, senza mai fermarmi. Finché non stramazzo per terra. E poi continuare a correre dentro la mia testa". Ma è un falso movimento, il suo, più simile all'immobilità kafkiana di "uno scarafaggio sul dorso, che non può più deambulare, ma continua ad agitare le zampe nel vuoto". Un'immagine, questa, che meglio di altre definisce la condizione esistenziale di tutti i personaggi dello scrittore.
Massimo Paravizzini
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