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"Io qui non vado più al teatro per non annoiarmi, e faccio una vita solitaria; sono varî giorni che tengo il violino in mano, ma niente giova alla mia agilità. Non voglio però sgomentarmi. Quasi tutte le donne sono dotate d'una certa dose di finzione che l'esperienza ha insegnato essere necessaria per imperare sull'uomo, ma ben di rado trovai riunite in una persona le grazie e la modestia, la semplicità e l'astutezza, il sentimento e l'insensibilità, il volto angelico con un cuore infernale. Tale è il ritratto (
) d'una ragazza (
) che, per mezzo d'un amico, già reso vittima del suo artefizio, io vengo di conoscere. Fortuna per me che, prevenuto dai pericoli ai quali si esponeva il cuor mio nel frequentare questa novella Elena, ho saputo resistere ai dardi (
) che portano al cuore l'inquietudine e la morte; pure (
) passo i miei giorni nella tristezza, combattuto da mille penose idee, che mi lasciano in uno stato continuo di abbattimento".
Scritta da Torino il 31 gennaio 1818, questa lettera è davvero esemplare dello stile e degli argomenti frequentati da Paganini nel suo epistolario: che complicate vicende hanno letteralmente disseminato fra Europa e Stati Uniti, in una quantità impressionante di biblioteche e collezioni private (tra le principali, la Library of Congress e la Fondazione O'Neill di Genova). Molto importante, quindi, il lungo lavoro di raccolta affrontato da Roberto Grisley, che pubblica ora il primo volume della corrispondenza (fino al 1831), rendendola finalmente consultabile nella sua integrità. Inserita nella collana "Studi e testi" patrocinata dall'Accademia di Santa Cecilia e pubblicata da Skira, l'edizione, impeccabile sotto il profilo filologico, è resa ancor più preziosa dalla capillarità dei riferimenti, collocati a piè di pagina e quindi agevoli alla lettura; non soltanto puntuali precisazioni riguardo a episodi e personaggi citati nelle lettere, ma addirittura una cernita vastissima di recensioni dell'epoca: in questo modo l'incastro fra epistolario e biografia è sempre chiaro e documentatissimo.
Paganini non è affatto un conversatore monocorde; il suo stile, quasi orale per immediatezza, si fa leggere di gusto. Di musica Paganini parla soltanto in occasioni particolari: così si troverà una vera e propria "recensione" al canto di Angelica Catalani (con tanti complimenti, ma anche la candida ammissione "io sbadigliai moltissimo"); una difesa asciutta e decisa di Simone Mayr ("ha scritto da divino maestro ma il pubblico di Roma non ama la musica scientifica, e filosofica ma ama soltanto le opere ad uso Waltz da eseguirsi con un solo Flauto ed una mezza chitarra"); resoconti di concerti, soprattutto all'estero (per esempio quando a Berlino deve affrontare le fazioni incandescenti di Spontini e Meyerbeer, ancora indecise fra "pollice verso" o delirio d'applausi, e saprà farle propendere entusiasticamente per la seconda soluzione); e ancora, innumerevoli riferimenti a liutai, interpreti, svariate occasioni concertistiche, sempre puntualmente chiosate in nota dalle recensioni uscite su giornali e riviste, italiane o straniere, riportate per intero; un lavoro, vale la pena di sottolinearlo ancora, che non è meno utile dell'epistolario stesso.
Per il resto, a percorrere l'intera corrispondenza, tre motivi extramusicali ricorrenti: in primis la salute, cagionevole oltre misura e monitorata da Paganini con un misto di timore e ironia; nel 1823 si ritiene "salvato" in extremis da un dottore americano incontrato al caffè, che diagnostica una "debolezza di nervi" da guarirsi a suon di bistecche, e sospende la cura di salassi e digiuni a cui il poveretto s'era dovuto pazientemente sottoporre. Secondo motivo, commoventi infatuazioni per donne da cui poi in capo a due mesi pregava con altrettanto fervore d'esser per sempre liberato. Infine, altro tema ostinato è uno spleen persistente, di cui Paganini dava conto nelle lettere, soprattutto al carissimo avvocato Germi, come di una vera patologia; probabile conseguenza delle docce fredde che le sue accensioni amorose pativano regolarmente, aggravata però da troppo frequenti contatti con i Dulcamara di passaggio.
Elisabetta Fava
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