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Dell'opera di Nietzsche permangono ancora tante sacche di non piena comprensione del magistero e della carica destrutturante. Ora giunge, graditissimo, uno studio approfondito che riguarda i rapporti intellettuali tra l'insegnamento del filosofo tedesco e un nucleo di pensatori d'origine ebraica molto noti per la appassionata rivolta contro gli ideali professati dalle famiglie di provenienza e per la successiva elaborazione di una prospettiva sionista. Nel corposo testo di Golomb pare cadere rovinosamente il luogo comune che individua in Nietzsche un precursore delle teorie antisemite naziste. Vengono al contrario proposte indicazioni che hanno avuto importanti appendici nelle teorie di tante originali personalità che trovavano ormai stridente la loro appartenenza a una comunità tradizionale e non facilmente assimilabile in un contesto occidentale e orientale fortemente modernizzato e secolarizzato. Ecco quindi che alcuni stilemi copiosamente desunti da Nietzsche divengono strumenti critici per quanti si pongono alla ricerca di una nuova identità, trovandosi sospesi tra un passato opprimente e un futuro non ancora ben chiaro per il loro popolo. Golomb analizza con competenza la produzione di un cospicuo numero di autori profondamente suggestionati dal testamento spirituale del filosofo di Röcken verso la fine dell'Ottocento, come Theodor Herzl, Max Nordau, Micha Josef Berdichevski, Ahad Ha'am, Martin Buber e Hillel Zeitlin, tutti artefici di proposte teoriche tra loro differenti, ma in grado di fornire una fisionomia complessiva al sionismo. A costoro, e questa è una delle tesi centrali sostenute nel libro, Nietzsche diede uno stimolo per una presa di coscienza di sé in tempi di profonde crisi spirituali e generazionali. Stefano Taddei
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