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Anno edizione: 2011
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Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
Una delle più famigerate tragedie della montagna, dove probabilmente la corsa alla salita ad uno dei giganti più noti della terra è costato la vita ad un numero così elevato di alpinisti. Riuscì a tornare a casa invece Marco Confortola, tra I più forti scalatori italiani, che dovette però pagare un pesante tributo al K2, la perdita per congelamento della dita dei piedi.
Precisa ricostruzione della tragedia del 2008 sul K2. Avvincente come un trihller
Un bel libro di montagna, finalmente. Era dai tempi di "Aria sottile" che non me ne capitava uno scritto così bene. C'entra forse il fatto che a scriverlo sia stato un giornalista che sa tenere la penna in mano? La domanda a questo punto sorge spontanea: ma perchè gli alpinisti non raccontano le loro avventure a persone che le sappiano scrivere, invece di cimentarsi in un'arte in cui non eccellono? Il libro racconta la tragedia del K2 dell'agosto 2008, ne descrive il susseguirsi degli eventi, basandosi sulle ricostruzioni dei sopravvissuti. Avvincente e dal ritmo incalzante, crea un patos da cui è difficile staccarsi. L'ho divorato in due giorni. Unico neo le ripetute critiche a Marco Confortola(?!?!?!).
Recensioni
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K2 2008: una delle più grandi tragedie dell'alpinismo contemporaneo rivive nelle pagine del nuovo libro di Graham Bowley, giornalista del New York Times. Un bestseller che ha sbancato le classifiche in America e ha già suscitato molto interesse e curiosità in Italia per le rivelazioni e le ricostruzioni di fatti non ancora del tutto chiariti.
Concepito come una cronaca realistica e dettagliata, No Way Down raccoglie le voci e le testimonianze di tutti coloro che furono coinvolti in quei tristi avvenimenti (alpinisti, compagni rimasti al campo base, familiari delle vittime) restituendoci una narrazione elettrizzante e ricca di colpi di scena. Una storia vera che si legge come un romanzo d'avventura, alla stregua dei grandi successi della letteratura di montagna, da Aria sottile di Jon Krakauer a La morte sospesa di Joe Simpson.
In quella notte d'estate del 2008 erano in troppi sotto la cima della seconda montagna più alta della Terra. Una delle più grandi concentrazioni di alpinisti che in un solo giorno avessero mai tentato assieme l'assalto al K2: ventiquattro, tra coreani, olandesi, francesi, serbi, norvegesi, italiani (rappresentati da Marco Confortola), attendevano che il sole sorgesse illuminando la vetta. Tutti in pista per compiere l'impresa di una vita. Parte da qui il racconto di Bowley che passa in rassegna le concitate e drammatiche fasi dell'ascensione e della discesa, facendo luce su una serie di errori e scelte sbagliate che potrebbero essere state alla base della tragedia. A causa dell'affollamento gli scalatori procedevano a rilento, alcuni innervositi dal ritardo compivano manovre azzardate, in pochi avevano percezione della pericolosità della situazione.
Ed ecco subito dopo la partenza la prima tragedia. Il serbo Dren Mandić, che si era staccato dalla cordata per aiutare la norvegese Cecile Skog, scivola sul ghiaccio e muore schiantandosi su alcune rocce. Lo seguono il portatore d'alta quota Jahan Baig, e Rolf Bae, marito di Cecile e capospedizione norvegese, che aveva rinunciato alla salita per problemi fisici. Durante la discesa al campo base scompare nel nulla sotto gli occhi della moglie, fino a quel momento felicissima per aver conquistato la vetta.
Ci sono poi le appassionanti e controverse pagine dedicate all'avventura estrema di Marco Confortola, intrappolato tra la cima e il traverso del "Collo di bottiglia", un canalone instabile di roccia, ghiaccio e neve che lo separava dalla salvezza. Fu costretto a un bivacco d'emergenza a circa 8.300 metri di altitudine insieme al collega ed amico Gerard McDonnell, con cui tentò anche di salvare, senza successo, una cordata di coreani gravemente feriti e imprigionati nello loro stesse corde. Confortola fu l'ultimo a vedere in vita l'alpinista irlandese prima che scomparisse, forse inghiottito da una valanga. Lui stesso fu salvato in extremis dallo sherpa nepalese Pemba Gyalje, che lo trascinò fino al campo 4. Bowley racconta i fatti secondo i ricordi del valtellinese, che a questa esperienza drammatica ha dedicato un libro, Giorni di ghiaccio, uscito nel 2009, ma espone anche i dubbi della famiglia e della fidanzata di McDonnell, che non credono alla versione ufficiale. "Ho voluto riportare tutte le versioni dei fatti, per dovere di cronaca - ha dichiarato a questo proposito l'autore. - Lascio ai lettori il compito di decidere a cosa credere."
Il libro è certamente ricco di testimonianze rivelatorie ma è chiaro che il suo intento non è quello di alimentare polemiche gratuite o annunciare la verità definitiva su una vicenda così controversa ed emblematica per l'alpinismo moderno. Non sapremo mai con certezza cosa sia accaduto in quei momenti drammatici e in quei luoghi estremi dove la fatica, il pericolo, l'istinto di sopravvivenza, gli effetti devastanti dell'alta quota travolgono il fisico e la mente dell'uomo, condizionandone totalmente le azioni e i pensieri. Nell'aria sottile degli Ottomila è ancora più labile e indefinito il confine tra destino e forza di volontà, tra realtà e fantasmi interiori.
In questa indeterminatezza i punti fermi sono altri. La gioia della conquista, il brivido della sfida, il timore della fine, il sollievo della salvezza, la condivisione del dolore, l'abnegazione del soccorso: ecco i veri protagonisti di No way down. Il lettore, anche il più sedentario e alieno da qualsivoglia avventura alpinistica, li rivivrà sulla sua pelle, immedesimandosi negli "eroi moderni" che incarnano l'eterna sfida dell'uomo ai suoi limiti e la ricerca di una conoscenza più profonda di se stessi e del significato più autentico dell'esperienza e della conquista umana.
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