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Un bel mattone....scritto bene ma abbastanza indigesto
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recensione di Troncarelli, F., L'Indice 1996, n. 9
Gli storici hanno il privilegio degli angeli. Conoscono i pensieri degli uomini più degli uomini. Ma gli uomini non amano chi rivela i loro pensieri. Per questo, da millenni hanno confinato ai margini dell'universo gli storici e gli angeli: i primi devono restare alla superficie dei fatti; i secondi devono starsene in cielo, lontano da tutti.
Che succede se un angelo scende sulla terra, come in un vecchio film hollywoodiano? Più o meno quello che succede se uno storico cerca di ascendere al cielo. È un'apparizione che illumina un panorama dai colori smorti, con lo stesso effetto di un'alba. Il lettore si chiederà di quali luci mistiche stiamo farneticando. Si rassicuri. Non c'è niente di mistico. Solo la consapevolezza che gli eventi avvolti dall'opacità del tempo possono essere resi trasparenti grazie a una luce più profonda e calda. È quello che avviene col brillante saggio-romanzo di Giosuè Musca, Il nolano e la regina. Un libro dedicato a Giordano Bruno, in multitudine solus, e alla multitudo di personaggi straordinari con cui è venuto in contatto negli anni del soggiorno in Inghilterra: prima fra tutti, altrettanto solitaria e geniale, la regina Elisabetta.
Come dice Umberto Eco nella prefazione a questo testo inusuale, Musca ci chiede di diventare "non spie, ma casti voyeurs" della storia. È vero. Ci viene riservato un posto migliore di quello di chi sta in prima fila: tra le quinte del palcoscenico del theatrum mundi. Ed ecco allora che lo spettacolo assume un altro carattere: il fasto delle grandi celebrazioni pubbliche, delle feste, delle riunioni di folle multicolori ha lo stesso fascino del segreto, delle parole mormorate in un corridoio, dell'intrigo, della gelosia, della confidenza. Di tutto quello che sfugge allo sguardo di un osservatore superficiale.
Ed è così che noi raggiungiamo un grado di consapevolezza maggiore rispetto a chi legge un libro di storia tradizionale. I momenti più affascinanti sono nascosti nelle pieghe della narrazione: sono i tempi morti, le esitazioni, il susseguirsi di pensieri "bizzarri sempre in agguato" che somigliano al volo imprevedibile, leggero, fantastico dei gabbiani. Sì, sono questi pensieri "bizzarri" che hanno "dato sangue e forza alle intuizioni più ardite". Ma questi pensieri nascono da soli, nel caos di una vita randagia e senza regola. Musca ci porta fino nel cuore della rˆverie di un personaggio che vive sospeso tra la vita comune e la vita non comune. Il ricordo della pasta di Napoli e del buon vino italiano si mescola con i voli della mente in una fantasmagoria perpetua. L'Inghilterra è un degno sfondo per questo brulicare di idee e di memorie, perché Bruno somiglia a un personaggio di Joyce alle prese con il flusso inarrestabile della propria coscienza.
L'aspetto più attraente della narrazione di Musca è che essa è rigorosamente nutrita dalla lettura accurata delle opere del nolano e delle testimonianze che lo riguardano. Dunque, anche gli accenni che sembrano di minore importanza, a cominciare dalle preferenze alimentari, sono solidamente appoggiati su qualche documento. Eppure il quadro di insieme non è realistico e neppure reale: è iperreale. Dissimulato tra i mille avvenimenti sempre documentati e documentabili, Musca è un regista che fa dire ai suoi personaggi quello che in fondo essi non osano rivelare neppure a se stessi. Bruno è dunque un'allegoria della condizione umana e Musca è in fondo il suo angelo custode, che ci fa comprendere, con tatto e dolente affabilità, il dipanarsi dell'esistenza che affonda in un modo inquietante e affascinante nell'eternità.
"Nulla delle nostre esperienze va perduto: cresciamo su noi stessi come un tronco d'albero e i vari cerchi sono le varie esistenze. Ma non si potrà mai recidere quest'albero di lunghissima vita: la nostra foresta personale durerà fino alla consumazione dei secoli... Nessuno di noi sarà distrutto...".
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