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Il volume è caratterizzato, secondo Amedeo Anelli, da «una dimensione indagante e soprattutto sapienziale, con un forte ancoraggio nei saperi della Medicina e della Neuropsichiatria». Ma oltre che nell'esperienza professionale e nella vocazione esistenziale dell'autrice, che l'ha condotta a interessarsi dell'infanzia violata, è un libro interrogante in altre dimensioni culturali: quella linguistica, e quella più genericamente sociale. A partire da quest'ultima, alcune sezioni del libro, più allusivamente autobiografiche, riflettono un passato di prepotenza privata e collettiva subita senza possibilità di ribellione e riscatto: «E si faceva freddo. Freddo oltre il freddo / senza limite la terra / e senza limite la parola». Parola che viene interrogata, sviscerata nella sua non-innocenza e non-neutralità: parola sempre di parte e di dominio, che scava una trincea tra chi la sua usare e manipolare e chi la patisce senza mai possederla. Margherita Rimi utilizza le parole in un plurilinguismo provocatorio o nostalgico, in terminologie specialistiche derivate dal vocabolario scientifico. È il suo mestiere di poeta, a cui si affianca, altrettanto fagocitante e oblativo, quello di neuropsichiatra infantile. All'infanzia difficile, abusata o malata, sono infatti dedicati i versi più abbaglianti e scolpiti del libro: ai bambini autistici, alle bambine violentate, ai minorenni che delinquono, agli sfruttati, agli analfabeti, ai senza presente e senza futuro. Con un'empatia tutta femminile e materna, e con un'indignazione civile che le deriva dalla frequentazione quotidiana dell'infelicità, Margherita Rumi propone un resoconto poetico dell'interazione tra terapeuta e piccoli pazienti, offrendo il suo sguardo e la sua voce a chi è stato amputato di sguardo e voce, e trova nuove espressioni linguistiche, intessute di vigore fisico, carnale, e di un'oralità solare, mediterranea, risentita.
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