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Il messaggio custodito in questo romanzo mi ha catturata sin dalla sinossi: “la vita ci mette degli ostacoli sulla strada e a fare la differenza non è tanto come inciampiamo, quanto il modo in cui ci rialziamo”. L’autrice ha l’abilità di coinvolgere, sin da subito, il lettore con un senso di tangibile vicinanza e familiarità con i protagonisti della storia: una comune famiglia di provincia che si ritrova, come tante, ad affrontare un periodo di difficoltà, contrasti e dolore. I protagonisti portano il lettore in queste dinamiche, mostrandogli in maniera sincera e personale i propri demoni e le realistiche reazioni a queste avversità. L’autrice è abile nel delineare questo sofferto percorso dei personaggi, tra i quali emerge sicuramente la protagonista Silvia che affronta ferite del passato e dolori del presente cercando di non farsi risucchiare dal vortice dell’autodistruzione. Silvia è la “sorellina” che il sognatore Francesco, vuole ossessivamente proteggere nonostante lei rifiuti il suo aiuto. Ho trovato questo romanzo un bell’esempio di come l’essere umano sia in grado di adattarsi e capace di reagire anche nelle situazioni più difficili, cercando di trovare un modo nuovo e più funzionale di guardare la realtà senza per forza avere un classico “lieto fine” in senso stretto. Ho apprezzato il realismo appassionante con cui sono presentate al lettore le varie sfaccettature dei personaggi.
Anni di piombo. Protagonisti del libro sono Beatrice, Francesco e Silvia, rispettivamente madre e figli segnati da un ineluttabile destino. Tre anime solcate da una profonda solitudine e da un'incapacità di capirsi e comprendersi che sicuramente è figlia dei tempi, ma anche e soprattutto di avventate decisioni: Beatrice ha alle spalle una dolorosa perdita da elaborare, nonché un altro figlio, Agostino, che più vuole saperne di lei. Due lutti che sfoga in bicchieri di vino colmi fino all'orlo, illudendosi di dare una svolta ad una situazione ormai allarmante, portando così i problemi lontano da sé. La stessa sorte toccherà alla bellissima figlia Silvia, preda di un amore malato chiuso fra quattro mura per tentare di dimostrare un'audacia che fondamentalmente non le appartiene e dimostrare al mondo la propria conformità a chissà quale attesa e ideale. E infine Francesco, probabilmente il più saggio della famiglia, operaio innamorato della colta Alma e iperprotettivo nei confronti della sorella, per tre vite costrette a fare i conti con i propri demoni, un passato da dimenticare e un futuro in cui la consapevolezza di interrompere il cerchio sarà l'ultima e l'unica possibilità di poter sopravvivere. "Non chiamarmi sorellina" di Cristiana Vigliaron è un racconto di grande intensità e coinvolgimento emotivo, di sentimenti ed emozioni contrastanti, un racconto a tratti crudo nella propria naturalezza, per un dolore comune ai protagonisti che permea le pagine con grande potenza. Tre storie dai risvolti amari, crudeli, infausti, di persone fondamentalmente insicure, sole, con una scarsa considerazione di sé, concentrando sulla propria persona l'odio per sé stessi e quello degli altri. Solo l'incontro con il dottor Domenico, anima buona, saprà regalar loro e soprattutto a Silvia la pace agognata, in un libro schietto e diretto che ci racconta di vite spezzate, legate tra loro da un unico e sottile filo di speranza.
Ambientazione storica perfetta ... le lotte identitarie di una famiglia operaia di provincia ... i fervori giovanili ... le prime sconfitte ... la ricerca di un posto nel mondo. Consigliatissimo!
Recensioni
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