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Due strade portano nel mondo di Patrizia Vicinelli, bolognese (1943-1991). La prima entra dritta nel mito. Dall'esordio ufficiale in una delle sedute del Gruppo 63 è la vita in picchiata di "un vero kamikaze dell'esperienza" (Andrea Cortellessa). La tossicodipendenza, due anni passati a Tangeri per sfuggire all'arresto (su sfondo persecutorio, per il sostegno ad Aldo Braibanti, drammaturgo, ex partigiano, condannato nel 1968 per plagio verso un minore, di fatto, per omosessualità), il carcere di Rebibbia, l'Aids. Riassume tutto la bellissima foto in quarta di copertina: il viso segnato di Patrizia come quello dell'ultimo Chet Baker, ma sorridente (per dirlo con le sue parole: "Ma perché mi sorrido addosso certe volte?"). La seconda strada passa finalmente per l'opera, resa disponibile dall'acribia di Cecilia Bello Minciacchi, specialista del recupero all'archivistica e alla critica di chi ha bruciato nell'avanguardia (Emilio Villa, Vittorio Reta, le scrittrici futuriste).
Si può suggerire di iniziare la lettura dal centro del volume, con l'azione drammatica Cenerentola, posta da un lato tra le prove più "ufficiali" di à, a. A (1967), opera prima qui riprodotta in anastatica, ispirata alla lezione di Emilio Villa nel tradurre sulla pagina effetti visuali e sonori e il lungo poemetto Non sempre ricordano (1976-1986), e seguita da una lunga collana di occasioni: il cospicuo corpus di inediti, i capitoli del romanzo Messmer, articoli e frammenti in prosa di origine distinta, il lavoro di poesia visiva Apotheosys of schizoid woman, 1979, e un bellissimo dvd (l'antologia multimediale è a cura di Daniela Rossi). Vi si trovano, con la quasi costante, complice presenza della tromba di Paolo Fresu, spezzoni di film di avanguardia (di Alberto Grifi e di Gianni Castagnoli) in cui Vicinelli figura come attrice, registrazioni di performance e testimonianze. Valgono come prove che il senso della poesia, se esiste, è performativo. Cenerentola è il risultato di un laboratorio teatrale animato da Vicinelli con altre detenute di Rebibbia nel 1977. È dunque essa stessa performance come costruzione di un'esperienza e di un senso condivisi (nei termini didattici della più tarda Dichiarazione ideologica, "imparare qualcosa e tenerlo per sé fa parte di quell'etica del possesso e della conservazione privata propri all'ideologia borghese"). Dice l'esperta Cassiopea all'ingenua Cenerentola, educata sui libri: "Invece, noi sappiamo già tutto, dentro di noi, basta ricordare e avere fiducia". Ricordare, come scrivere, è un atto del presente, non del passato (altrove, sarcastica: "Si parla del biscottino mai abbastanza mangiato di Proust"). Citando l'immancabile e compassato Eliot dei Quartetti, l'autore preferito dalla neoavanguardia italiana, la stessa Cenerentola canta: "È dal passato che viene il futuro / solo il presente è la mia realtà". La distanza scorciata tra vita e scrittura riporta al "mito Vicinelli", ma svela soprattutto un vero e proprio punto di tecnica poetica. Questa è infatti una scrittura che funziona come il montaggio nel cinema di avanguardia e l'improvvisazione nel jazz (accanto al nome di Fresu, il curriculum di Vicinelli allinea anche quello di Steve Lacy): compone nel momento. Suo principio costitutivo è la libertà. Ma perché questa possa costruire, conta la disciplina: del mezzo, dello strumento, della voce. La scrittura di Vicinelli mostra in questo una qualità che dovrebbe finire per mostrarsi superiore alla sua semplice storicizzazione nei dintorni del Gruppo 63. Così anche la lettura di Non sempre ricordano, storia di una fuga, su più piani temporali e soggettivi e con echi genericamente polizieschi, se macina in sé Porta e Sanguineti e altre sperimentazioni dell'epoca (il 1976 è la data di uscita del Disperso di Maurizio Cucchi, e si pensa al cinema di Godard), è l'ascolto di una lunga suite, ricomposizione di frammenti di lingua e di paesaggi irripetibili. Gli effetti di improvvisazione non sono mai atonali, ma (come nel jazz di Fresu) tendono a estrarre sempre una linea melodica: "Di questi a centinaia dialoghi people / ricca o senza un soldo / stazionano prendono il sole / ai caffè / bevono spremute / d'aranci e té alla menta / freaks omosessuali indigeni / sdraiati al sole del mattino". È la resa dell'inferno a colori di Tangeri (parte VI), dove c'è posto per l'esotismo beat, per Jean Genet e per un mare di good vibrations (è un riferimento alla canzone di Brian Wilson?). Sono queste onde che invadono il libro con "un'improvvisa esplosione di Luce che diviene suono e 'om' originario", come scrive Vicinelli sorprendentemente e ancora una volta controcorrente, di D'Annunzio. Del resto, e vale per entrambi, "che dire di uno che è a proprio agio in qualsiasi contesto?". Fabio Zinelli
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