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Quella luce, che viene da un passato molto remoto, è tutto un simbolo della nostra caducità e della nostra labila permanenza nel tempo. Perché il tempo, contrariamente a quanti sostengono che soltanto il presente esiste, per Guzmán è soltanto passato.
Guardare il cielo, spazio d’intatta e inattaccabile purezza, a partire da un Osservatorio costruito su un cimitero rimosso. Primo capitolo di un trittico, di folgorante bellezza, "Nostalgia della luce" ammalia innanzitutto per la giustezza e pertinenza dello sguardo che dispiega. Lungi dal presentare direttamente il nocciolo della questione (i prigionieri politici “scomparsi” negli anni della dittatura cilena), Guzmán parte dal cielo, dalle stelle, scrutate dall’Osservatorio del deserto di Acatama. Niente in apparenza di più estraneo e stridente: da un lato la nitidezza dell’arcata celeste, dall’altro l’arida superficie di una terra che ha inghiottito i corpi delle vittime della dittatura. Da un lato i pianeti, dall’altro le ossa. L’autore de "La memoria dell’acqua" non si accontenta di denunciare un evento del passato del suo paese. La sua ambizione è più grande: abbozzare un poema visivo sul passato partendo dal presente e guardando al futuro; proiettare nel cielo il ricordo dei morti della terra per eternizzarli e, letteralmente, universalizzarli. Per farlo sincronizza tempi e luoghi che si vorrebbero lontani e discontinui: il sopra e il sotto, l’alto e il basso, l’oltre e l’altro, il remoto e il prossimo. Mentre gli astronomi scrutano le luci dello spazio infinito, le madri scavano per cercare di far luce sulla scomparsa dei rispettivi figli. Con somma delicatezza, Guzmán dispone gradualmente tutti gli elementi in gioco, scivola naturalmente dall’astronomia alla storia chiudendo il discorso con un’immagine-atto sublime: le madri dei desaparecidos all’interno dell’Osservatorio, il loro sguardo infine rivolto verso il cielo stellato e non più verso la terra. Il ricordo è anche lassù. Dalle parti del capolavoro.
Bellissimo documentario di un regista le cui qualità sono già note. Molto bella la fotografia, interessanti i riferimenti storici, acuti gli interventi delle persone interpellate. Quello che questo documetario ti lascia dentro è difficile da esprimere a parole, i silenzi di molte scene parlano da soli.
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