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Il nome di Vittorio Sereni è al centro di entrambi questi lavori critici, inteso il primo a valutarne l’originalità della posizione intellettuale nel panorama novecentesco, e volto l’altro a situarlo all’interno di una costellazione (Gozzano, Giudici, Bassani, Bertolucci) in cui il fare poetico non appare mai completamente disgiunto dalla "tentazione della prosa". Anche il lavoro di Nisticò insiste del resto sull’importanza per Sereni della dimensione della "prosa", delineando addirittura un percorso che dal disarmato lirismo giovanile giunge, attraverso un progressivo confronto e scontro con una realtà imposseduta e pure sentita come ineludibile riferimento, a individuare proprio nella prosa il terreno ultimo (per sé, naturalmente) della ricerca artistica. Sereni desiderava che l’esercizio della scrittura "si convertisse in energia del vivere e del vivere con gli altri, per trovare un modo diverso di affrontare il futuro". Un’idea pragmatica e in qualche modo "servile" della letteratura e dell’arte che permette di rivalutare le componenti di relativismo e scetticismo che sono sempre state negativamente imputate alla "debolezza" delle teorie estetiche sereniane. Così intesa, l’idea della "prosa" ha solo il difetto di estendersi ben al di là del piano "di genere" per attingere metaforicamente a quella di "vita" o di "realtà" tout court: confusione che non è certo gratuita, ma che forse dal punto di vista letterario rischia di essere improduttiva.Del resto, il lavoro di Nisticò si qualifica forse più per le sue ambizioni teoriche (critiche ed estetiche) che per quelle di aderenza al testo, e non a caso pare soprattutto apprezzabile nelle pagine dedicate al Sereni critico e autocritico, e al suo farsi in qualche modo "postumo" alla "postmodernità", non prigioniero dei vezzi e dei vizi dell’età sua. Più aderente a un’idea "letteraria" di prosa è il discorso di Lenzini.Ma Sereni è qui solo la tappa di un percorso che attraversa vari altri autori, tutti partecipi di un doppio piano di scrittura ma i cui testi poetici risultano in particolare segnati da un’esigenza che è difficile definire altrimenti che "narrativa". Ciò vale per Gozzano non solo per il suo rifarsi alla novella in versi ottocentesca, ma per la trama di rimandi che i suoi versi stabiliscono dall’uno all’altro componimento, e per il suo gusto tutto moderno di "contaminatore di codici"; e vale per Giudici non solo in quanto traduttore di un "romanzo" quale è l’Evgenij Onegin di Pusˇkin (Garzanti, 1975), ma in quanto creatore egli stesso "di persone nel senso etimologico", e da sempre interessato a una pratica "impura" della lirica. Fine e continuo il richiamo di Lenzini al dibattito e alla tradizione critica, e interessanti soprattutto le pagine su In rima e senza (Mondadori, 1982) di Bassani e sulla Camera da letto di Bertolucci (Garzanti, 1984-88), anche per il loro situarsi in una bibliografia meno folta.Del primo libro, Lenzini definisce la complessiva coerenza "nella misura in cui Senza è la parodia di In rima, cioè fino a dove la seconda parte rovescia e punisce la poesia della prima con il controcanto della prosa"; del secondo si sofferma a indagare il difficile rapporto tra l’istanza dichiaratamente narrativa e la continua dispersione/diffrazione con cui l’io lirico irrompe nella storia.
Nisticò, Renato, Nostalgia di presenze. La poesia di Sereni verso la prosa, Manni, 1998
Lenzini, Luca, Interazioni. Tra poesia e romanzo: Gozzano, Giudici, Sereni, Bassani, Bertolucci, Temi, 1998
recensioni di Esposito, E. L'Indice del 1999, n. 06
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