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Note sul cinematografo - Robert Bresson - copertina
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Note sul cinematografo - Robert Bresson - copertina
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Descrizione


La ripetizione e la sovrabbondanza di immagini hanno fatto progressivamente impoverire il linguaggio audiovisuale. Occorre allora, oggi più che mai, recuperarne le originarie possibilità espressive, riflettendo sui modi in cui l'immaginazione si pone di fronte alla realtà. In questo volume il regista di "Un condannato a morte è fuggito", di "Lancillotto e Ginevra" e de "L'argent" ha raccolto le note di lavoro, scritte in circa venticinque anni, che testimoniano come il suo mestiere sia sempre stato una ostinata e coerente ricerca.
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Dettagli

4
2008
1 gennaio 2001
125 p., Brossura
9788831748964

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Veronica
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Ideale se ami il cinema e ti interessa 'come si fa' il cinema. Un libro piccolo ma enorme... Ogni frase un spunto per una bella riflessione. Molto adatto da regalare agli amici cinefili.

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Voce della critica


(recensione pubblicata per l'edizione del 1986)
recensione di Tomasi, D., L'Indice 1986, n. 9

Da un po' di anni a questa parte non si può fare a meno di notare come alcuni dei più interessanti libri di cinema, usciti un po' in tutto il mondo, siano proprio quelli scritti dai registi. Libri di memorie, di ricordi ma soprattutto libri di riflessione sulla teoria e la pratica del cinema. Le note di Bresson occupano un posto di primo piano nell'ambito di tale produzione. Pur non essendo affatto convinti che il punto di vista dell'autore sulla propria opera sia il punto di vista privilegiato, dobbiamo qui riconoscere che questi lapidari aforismi ci introducono nel cinema del maestro francese come pochi altri testi hanno saputo e, forse, sapranno fare. E questo per una ragione molto semplice: le note di Bresson non sono altro che la transcodificazione di un diverso linguaggio delle immagini di Bresson. In esse ritroviamo infatti la stessa economia, la stessa essenzialità, la stessa capacità di arrivare alle contraddizioni ultime attraverso un processo di depurazione di tutto ciò che è inutile, superfluo, accessorio. Delle parole, delle frasi di Bresson, potremmo scrivere ciò che lui stesso dice a proposito del suo modo di fare cinema. "Appiattire le mie immagini (come un ferro da stiro) 'senza attenuarle'". In questi aforismi scritti fra il 1950 e il 1974, il regista francese affronta con estremo rigore alcuni nodi teorici essenziali quali la specificità del mezzo cinematografico e i suoi rapporti con le altre arti ("Il vero del cinematografo non può essere il vero del teatro, n‚ il vero del romanzo, n‚ il vero della pittura. Quel che il cinematografo afferra con i suoi propri mezzi non può essere quel che il teatro, il romanzo, fa pittura afferrano con i loro"), la dialettica suono e immagine ("Se l'occhio è completamente conquistato, non dare nulla o quasi nulla all'orecchio. Non si può essere contemporaneamente tutto occhio e tutto orecchio ") la ripresa ("Angoscia di non lasciar sfuggire nulla di quel che intravedo appena, di quel che forse ancora non vedo e potrò vedere soltanto più tardi") il montaggio ("Sia l'unione intima tra le immagini a caricarle di emozione") la musica ("Quanti film rappezzati dalla musica! Si inonda di musica un film. Si impedisce di vedere che in quelle immagini non c'è niente") la recitazione ("Non si tratta di recitazione 'semplice' o di recitazione 'interiore', ma di non recitare affatto"). Punto di incrocio fra un testo di normativa estetica, uno di teoria del cinema e una raccolta di impressioni d'autore queste note di Bresson sono l'immagine della forza di un'idea di cinema che è: "Espressione per compressione. Mettere in un immagine quel che un letterato diluirebbe in dieci pagine".

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