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Notizie dalla necropoli. 1974-2004 - Attilio Lolini - copertina
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Descrizione


"Una poesia di un nichilismo totale. Di una grande amarezza, una grande consapevolezza, una grande laicità. Il male di vivere è per Lolini un ghigno beffardo. E un grande coraggio. Questo coraggio si esprime nell'invettiva, nell'ironia, nello sguardo che guarda l'orrore ma senza quasi mai manifestare il dolore" (Carlo Bordini, "L'Unità").
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Dettagli

2005
8 marzo 2005
189 p., Brossura
9788806168414

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Cristiano Cant
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Conservo poche righe di Attilio Lolini legate al giorno in cui mi comunicò quali titoli fossero ancora disponibili nelle Edizioni Barbablù; vent'anni fa esatti, un corsivo gentile, attento, pulito. Segnava i numeri (già scarsi) ancora alla portata e quelli ormai irrintracciabili. Ricordo benissimo anche il vecchio testo insieme a Sebastiano Vassalli "Belle lettere", in una collana Einaudiana ormai consegnata a una preziosa araldica che non tornerà più. Oggi lo voglio omaggiare da qui, dopo aver letto della sua scomparsa dal meraviglioso scritto di Antonio Prete sul Manifesto. Lo saluto dai suoi stessi versi amari e intensissimi, giocosi e sferzanti, dove questi ultimi aggettivi torcono in realtà la somma dei suoi disagi e delle sue crepe interiori, di un malessere tenacemente e inevitabilmente lavorato dalla (e nella) parola poetica, qui foderata in trent'anni di ricerca, di rincorsa, di studio. La sua filosofia, in definitiva: "Stamane il dente che tintinnava/come un ballerino di flamenco/ha preso il volo ed è caduto/senza nemmeno un doveroso addio./ Stiamo a vedere cosa combina il tempo,/ quale faccia lo specchio ci rimanda,/ se la storia è davvero un otre gonfio/ da suonare o bucare". Lolini ha lavorato su uno dei più grandi mistici del secolo, Edmond Jabes, sue alcune meravigliose traduzioni. Ma personalmente lo ricordo anche in una bellissima prefazione a Nanà, di Zola, in un esemplare Newton da duemila lire che da studente acquistai in fretta sotto i portici piovosi di una stazione. E' questo alla fine il frettoloso morso della poesia, l'istante che torna come un mantello retroattivo a dire grazie per una scelta frugale, una curiosità divertita, mentre il mondo grossolano ingoia stagioni e stagioni senza riguardi o brevissime scintille o stracci di qualche etica quale che sia. Buon viaggio caro Maestro, aspettiamo cartolina. Per francobollo basta la carta del sandwich, ben unta. Arriverà puntualissima, e ovviamente in ritardo, come la poesia.

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Daniele
Recensioni: 4/5

Un libro che consiglio, pieno di ironia, a volte amara, di voli surreali ma sempre "terra terra" senza grandi ideali o speranze...

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Voce della critica

Trent'anni di scrittura poetica. Un cammino che ora accoglie le diverse stazioni - a partire dal 1974, anno di Negativo parziale - in un movimento che espone la ragione o l'impulso di una poetica: la sfiducia per la parola piena, discorsiva, ragionativa, l'amore invece per l'abrasione, la cancellazione, il silenzio, il bianco. Se nella prima sezione - Da una stazione all'altra - questo movimento affida la narrazione a sequenze nominali, opacizzando il verbo, con l'effetto di uno spaesamento, di un azzeramento del senso prospettico, nelle altre sezioni l'abrasione è davvero ricerca di un piano silenzioso da cui affiori la parola, e, con essa, la musica. Una morfologia del bianco, variamente declinata, che si risolve in una scrittura che ha sullo sfondo il vuoto di senso. Un continuo esercizio di distanziamento da ogni forma di incanto, di fascinazione, di stupore.
L'imitazione di Le Voyage di Baudelaire, posta al centro del libro, espone bene questo orizzonte e questa ricerca. Il mezzo per questo disincanto e per questa spoliazione di senso è il perseguimento di una sorta di povertà della lingua, intesa come rinuncia alle volute retoriche, agli orpelli, alla sovrabbondanza seduttiva. La lingua è lì, come un paese dove ci si muove a caso: ci si imbatte in frammenti di versi classici, in resti di arie musicali, in parole sospese, in balbettii, e tutto diventa materia non per una costruzione, ma per uno svuotamento di senso, per l'accenno di un motivo che subito cerca il suo incavo negativo, la sua perdita, il suo vanire.
Eppure, nonostante questa voluta povertà della lingua, c'è un effetto di eccesso, di estremo, di paradosso. Un effetto che è dato dall'ironia, e autoironia che accompagna il soggetto dello sguardo messo in scena, il suo autoritratto. All'aspetto distruttivo dell'ironia si accompagna una disposizione clownesca, dunque irridente e malinconica, leggera e tragica, che può richiamare certi versi di Apollinaire o di Caproni, ma anche quella linea da ballata ilarotragica che da Villon va verso il Baudelaire di Le vin de l'assassin . Lolini è autore di traduzioni-imitazioni che sono anzitutto dialoghi su registri consonanti, da L'Ecclesiaste , che uscì con una prefazione di Fortini, a Le voyage baudelairiano qui riportato, a testi di Larkin, Benn, Lowry, Jabès: esercizio di antipoesia, visitazione del teatro della vanitas ("Un vuoto nulla / ascolta / un infinito nulla" era la versione del famoso verso biblico). Frammenti e immagini provenienti dalle imitazioni vanno a collocarsi nei versi di questa raccolta: "giorni truccati da giorni", il "sole goffo" che "pende all'orizzonte / come un lume di scena". Imitazioni che sono fedeltà a un tono, a uno sguardo sul mondo.
Il verso breve, con qualche endecasillabo che cade qua e là, come resto un po' opaco di una tradizione, si accompagna alla parola isolata, diventa quel versicolo che da Laforgue a Ungaretti a Caproni ha una sua vitalissima storia, e va a formare strofe asimmetriche, scandite dalla spazialità silenziosa: è soltanto il distico a tornare con qualche regolarità, secondo quella coincidenza che mentre sanziona la clausola e il congedo manda un lampo, magari affidato a una rima inattesa. Minima concessione alla tradizione dell'ottava rima popolare. Più sottile è l'affiorare dell'elemento musicale che trascorre qua e là con forme atonali o con il falsetto proprio di chi conosce benissimo la tradizione operistica italiana (vanno ricordati, in inciso, alcuni titoli allusivi di precedenti plaquettes di Lolini: Salomé , del 1979, Libretti d'opera , 1984, Arie di sortita , 1989).
La forma epigrammatica sembra una tentazione di questa poesia, ma è come se a un certo punto l'epigrammatismo deviasse verso il frammento o verso l'arietta di un Metastasio irriso e rovesciato: difatti l'epigramma è svuotato del suo strale, del suo bersaglio, poiché è il mondo stesso l'orizzonte: "ancora vuoi muoverti? / chiesi: dove? Pensavo / che il mondo è un posto / molto vecchio e sporco / un repertorio d'inezie / di pezzi di carta / nel vento che mulina".
Quanto alle figure che animano i versi, si tratta spesso di corpi-spettri, di zombi, di larve, tutte raffigurazioni deformi di un io specchiato nell'insignificanza, nella perdita di senso. Il paesaggio della modernità - della modernità baudelairiana che viene dai Tableaux parisiens - è attraversato da figure che si muovono traballanti e incerte e deformi in un'aria il cui ossigeno è il disamore. Una poesia, insomma, che scorge, dappertutto, la fuga della poesia, la fine della poesia: "La poesia non abita più qui / non c'è poesia dove vivi / (...) / La poesia è da altre parti / fugge il presente scortese / e l'uggioso futuro".
Antonio Prete

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