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recensione di D'Elia, G., L'Indice 1998, n. 5
"La notte del lupo", questo antivangelo blasfemo, il vangelo secondo Vassalli, se si volesse farne una critica ideologica, fin dal titolo, porterebbe a pensare che l'idea tradizionale del lupo cattivo non è mai finita. Perché questo romanzo apocrifo sulla vita di Cristo si nutre dell'idea che Giuda di Quériot fosse un lupo cattivo, l'incarnazione del male, anche se Vassalli ce ne presenta il lato paradossale di assassino al servizio della Legge, della vecchia religione.
È un romanzo veloce, questo di Vassalli, scritto come se dovesse essere letto dopo la catastrofe, intento a definizioni di cose che conoscono tutti, i jeans, le auto, le pornostar, come se i destinatari, evidentemente futuri e postumi, non ne sapessero nulla. Come se le auto, i jeans, la Roma che il Giuda moderno vede davanti ai suoi occhi, che sono gli stessi del Giuda antico, non ci fossero più, appunto, e lo scrittore non fosse nient'altro che uno che scrive pensando che tutto il mondo presente scomparirà molto presto.
I tic stilistici rivelatori di tutto l'atteggiamento ideologico di Vassalli, che affronta la storia delle storie per smontarne la versione ortodossa che ha portato alla Chiesa, brillano in una pagina (43) dove viene posposto e messo tra parentesi il verbo al presente che definisce le automobili "(si chiamano)", e viene lasciato sul rigo pulito il verbo all'imperfetto "si chiamavano", dove vale evidentemente il senso che tra parentesi è il presente storico, non solo verbale. Il presente è come se fosse già passato, è già tra parentesi, in attesa che il lettore futuro di questa cronaca postuma lo cancelli davvero.
La notte del male, in cui Giuda va sul monte per uccidere Yoshua Ha-Nozri, Gesù Lo Straniero, porta invece all'uccisione di un lupo nascosto in una grotta. Non è ancora tempo, si dovrà far catturare Yoshua come da copione, all'alba sul Monte degli Ulivi. Il lupo vero del romanzo è un vecchio lupo quasi senza denti, al quale Gesù dava da mangiare. Quando Giuda lo uccide, essendone stato assalito, Gesù dividerà il pane con Giuda. Il lupo vero viene ucciso dal lupo umano, che si reincarnerà nell'attentatore del papa Giovanni Paolo II, Ali Agca. Tutto il fascino della narrazione procede da questo intreccio di tempi (antico e contemporaneo) e di storie (Giuda e Agca). Il meccanismo filmico, fatto di flashback del passato remoto e di scene del passato prossimo, ruota attorno alla vicenda della Pasqua, della predicazione di Gesù nel Tempio, del suo arresto e della sua crocifissione, incrociando il Giuda contemporaneo che viaggia dalla Germania all'Italia come lupo grigio e assassino di professione.
L'ossessione di Vassalli, già nei suoi romanzi precedenti, non è stata forse sempre quella dell'eterno ritorno del sempre uguale? Il mito della follia come verità rovesciata da cui il potere si difende, fin dalla biografia romanzata di Campana, attraversa in figure paradossali di cristi profeti e masochisti la trama metaforica della fantasia dell'autore. Non si va al di là di questa suggestione del tempo come sogno e come incubo, in pagine belle come quelle del sogno di Yoshua prima del suo arresto, dove la creaturalità e lo spirito panico si fondono in un onirismo del reale di impronta metafisica. Per il resto, l'operazione di Vassalli è prosa senza "poesia", perché in fondo non c'è più niente "da fare". Anche raccontare è come mantenere un tradimento, più che una speranza: ogni promessa d'illusione è stata disattesa, solo la menzogna è stata mantenuta. Giuda non è stato un traditore, ma l'unico che non abbia tradito. Era un assassino già da prima, incaricato da un anno di uccidere Yoshua, presso cui si fermerà, anche perché sedotto da Maria di Magdala. Quest'ultima storia nella storia svelerebbe, secondo Vassalli, il rapporto di gelosia di Giuda con la donna dei sette diavoli e con Yoshua che lei ama. L'impulso a uccidere di nuovo verrebbe di lì. La tesi di fondo è che Giuda, di fatto al servizio del Potere Clericale, ribadisca l'intenzione aclericale di Gesù, non un fondatore di chiese ma un uomo che si rivolgeva a Dio direttamente come a un Padre. La menzogna e il tradimento sarebbero dunque venuti dai discepoli, dalle donne che lo avrebbero spinto a Gerusalemme per il potere futuro dei loro figli e mariti.
Si capisce il paradosso di Vassalli, anche se il passaggio dalla fase profetica ed evangelica a quella clericale lascia inalterato il valore appunto profetico ed evangelico della verità non clericale. Non sembra neppure che a Vassalli interessi la polemica o l'eresia, non è Pasolini. Non crede più all'azione e all'uomo, ma continua a sorprendersi del loro sogno in comune, naufragato nel male del mondo: "Nessuno che vive nel mondo può essere buono", dice il maestro; e un discepolo dopo la sua morte commenta: "Amici, la stagione dei sogni è finita, e bisogna che ce ne rendiamo conto". Che sia anche la nuova regola della prosa senza poesia, della lucidità senza azione? O l'azione di sempre è solo quella di un "evil spirit killer"? Certo, siamo al modello manzoniano della disperazione e dell'inazione di Adelchi: "Non resta / che far torto, o patirlo...". Contro questa feroce forza che possiede il mondo, ci dice Vassalli, anche il sogno di Yoshua è naufragato.
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