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Il pubblico italiano conosce poco Satyajit Ray come regista, non lo conosce per nulla come scrittore. Eppure Ray, da oltre venticinque anni, scrive e pubblica regolarmente storie destinate ai ragazzi. Storie fantastiche, avventure di giungla e piccole storie di vita quotidiana. Ray mescola felicemente la realtà e l’invenzione, filtrandole attraverso la conoscenza profonda della cultura letteraria e filosofica del suo paese e conciliandola con i ricordi delle sue letture adolescenti, anche di autori occidentali. Dietro lo scrittore sentiamo l’uomo di cinema abituato a narrare per immagini. L’uso del flash-back gli permette di creare atmosfere di sogno e sdoppiamenti richiamando il passato anglo-indiano e introducendo elementi che dànno spessore storico e dicono quanto profondamente le due culture, quella inglese e quella indiana, siano compenetrate. La giungla, le valli immaginarie fuori del tempo e dello spazio, la rumorosa Calcutta dei nostri giorni sono in qualche modo «visibili»; i protagonisti , uomini e animali, hanno la stessa malinconica e mite evidenza dei personaggi in bianco e nero dei suoi film. La quotidianità è interrotta dall’insorgere di fatti prodigiosi nel tentativo, riuscito, di dare un equilibrio, quasi un’armonia a delle esistenze minuscole accettate con saggezza e autoironia.
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Una gradevole sorpresa nella narrativa del 900. Pur senza voli pindarici e in uno stile piano, Ray ripercorre con gusto e adesione lo stile narrativo della tradizione più lieve dei racconti, da Stevenson a Twain a Verne, fra humour, avventura, mistero e fantastico. Il tutto trasposto nell'India dei nostri giorni. Tra le novelle "Il cane del signor Ashamanja" racconta una tenera storia di solitudine, in cui traspare la vita quotidiana di un travet dell'India borghese. Di notevole impatto poi il più lungo racconto conclusivo "La spedizione dell'Unicorno", condotta magistralmente da un narratore che non a caso è anche un grande regista.
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