Riscoperta solo da un ventennio, grazie allo scavo d'archivio e all'impresa editoriale di Roger Perret, Annemarie Schwarzenbach (1908-1942) è stata negli ultimi anni oggetto di un autentico culto, che però ha investito quasi esclusivamente l'asse biografico: morfinomane, omosessuale, ribelle, l'androgina immortalata in centinaia di scatti irradia il fascino sinistro dell'"angelo devastato", come disse Thomas Mann dopo il primo incontro con l'autrice. Ma fu proprio casa Mann a fungere da catalizzatore: dopo l'incontro nel 1930 con Erika e Klaus Mann, gli enfants terribles figli di Thomas, Schwarzenbach inizia a pubblicare. La sua produzione, accessibile in Italia grazie alle traduzioni offerte da Il Saggiatore, L'Orma, Casagrande e Rizzoli, è testimoniata non solo da romanzi, racconti e diari di viaggio (viaggiò in Europa, America, Asia e Africa, sempre alla ricerca di un ubi consistam), ma anche dai numerosi saggi e reportage germinati dalla sua prolifica attività di fotoreporter e giornalista. Quando nel 1929 scrive le prime due delle tre Novelle parigine, la seconda delle quali è ora tradotta da Tina D'Agostini con il titolo La notte è infinitamente vuota, Annemarie ha appena ventuno anni, studia storia a Zurigo e si trova a Parigi per un semestre alla Sorbona. Per lungo tempo le tre Novelle parigine (la terza fu composta nel 1930) resteranno inedite. Ma la vocazione alla scrittura rappresenta già un credo tenace, verso il quale la giovane studentessa è pervicacemente orientata, a dispetto delle promesse alla famiglia, che guarda con sospetto la sua vocazione e la esorta a rinunciarvi. Per l'eccentrica e ribelle erede di un'antica casa patrizia elvetica la scrittura rappresenta, infatti, sin dagli anni dell'apprendistato letterario, un'infrazione alla compostezza sociale impostale dai natali.E proprio il conflitto tra la libertà individuale e l'adeguamento sociale rappresenta uno dei temi centrali di La notte è infinitamente vuota,la più autobiografica delle tre novelle. Come l'autrice, anche Ursula, la protagonista della novella, studia alla Sorbona, è attanagliata da inquietudine sentimentale ed esistenziale e, soprattutto, è alla ricerca di uno stile che corrisponda al suo ideale. L'incontro con Hochberg, un intellettuale che ha viaggiato per il mondo, si rivela per Ursula determinante, non solo sul versante sentimentale, ma anche per la sua scrittura. Stimolata dal confronto, Ursula delinea finalmente la sua aspirazione artistica: "Vorrei scrivere un libro da leggere lentamente e a voce alta, in cui ogni frase, perfino la più incoerente, fosse armoniosa e bella". Sullo sfondo della raggiunta consapevolezza artistica, si staglia però la dicotomia tra civiltà e istinto primigenio, che Ursula non riesce a risolvere. La figura della zingara Lena, la ballerina che nella novella si impone come femme fatale, incarna invece l'ideale dello "spirito primigenio" refrattario all'incivilimento: "Perché la civiltà è codarda: ammette solo una parte dell'essere umano, l'altra si atrofizza e riappare poi sotto forma di orrido gnomo". Parallelo scorre il tema della crisi sentimentale e dell'amore lesbico, al quale Schwarzenbach dedicherà molti dei suoi primi romanzi. Dopo una fugace storia d'amore con Hochberg, che le rivela l'impossibilità dell'amore eterosessuale, Ursula asseconda la sua attrazione per Jaqueline, "snella e abbronzata" e dalla voce "allegra e piena di calore". Anche l'amore, come la libertà artistica, è destinato ad impattare contro le convenzioni sociali e l'ostacolo di quell'assoluta istanza morale rappresentata dalla famiglia. Ursula rinuncia a Jaqueline, un tetro paesaggio notturno scorta il suo ritorno a casa e alle convenzioni della "civiltà codarda", che impone all'io quell'abissale solitudine dissuggellata efficacemente dalle ultime battute della novella: "Adesso non è rimasto più nulla. Una strada buia, la mia auto, io. La notte è infinitamente vuota". Nadia Centorbi
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