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Diversi brani belli e interessanti; molti altri che sembrano una coda lunga per sardi, più che una guida per forestieri.
Questo libro mi ha conquistato (o forse mi ha blandito, direbbe qualcuno). L'ho letto tutto d'un fiato, in un caldo pomeriggio di giugno, seduto in una panchina del porto di Cagliari. Ho sorriso molte volte, leggendo la storia del protagonista e di questo suo ritorno in Sardegna, la sua terra natia. Non una vera e propria guida turistica, non un vero e proprio romanzo, non un vero e proprio diario, ma tutte e tre le cose insieme. Bravo Flavio Soriga! Qui mi sei proprio piaciuto!
Illeggibile. Di una noia mortale. Inutile. Scrittura pessima, pseudo-sgrammaticata. Può piacere soltanto a qualche sardo a cui piace essere blandito nel riconoscere luoghi e usi della sua vita isolana, o a qualche continentale che pensa si tratti di una guida alla scoperta della Sardegna nascosta. Scrittore molto sopravvalutato che mi sembra non abbia più molto da dire.
Recensioni
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“Alberto, lo sai perché sono venuto?”
“Perché?”
“Per ricordarmi. Perché uno ha l’impressione di sapere un sacco di cose, della sua terra, poi si mette lì a scrivere ed è tutto sfuocato. O resti qui, o non è vero che sai. Ricordi ma confusamente. Sei un sardo nel mondo, e il mondo ti annacqua i ricordi. E devi tornare, e renderli vividi.”
Nicola ha trentotto anni, è sardo ma vive a Roma, fa il barista-libraio, è uno dei soci della libreria Giufà, per vivere “serve cappuccini, torte vegane e tisane equo e solidali”, il suo gruppo preferito sono i Queens of the Stone age.
La lunga premessa al libro è il suo romanzo, una piccola e insolita guida che gli hanno chiesto di scrivere sulla sua terra: la Sardegna. Il racconto del suo ritorno al paese alle porte di Cagliari - un villaggio di contadini, a zero metri sul livello del mare - diviene il pretesto per narrare le mille sfaccettature che caratterizzano la sua regione. La sua storia d’amore, la famiglia, gli aneddoti divertenti, le storie del passato, il suo e quello degli anziani, di cui ormai si è persa ogni traccia, divengono gli elementi fondamentali della sua guida-romanzo.
E insieme ci parla di tanti luoghi sconosciuti ai più, La scuola all’aperto Mereu di Cagliari; l’anfiteatro della città romana di Tharros; la Maddalena, l’Asinara, l’Argentiera, attraversando i ricordi delle vite innamorate di quei posti, nei quali il silenzio è rotto solamente dal vento. Persone che conoscono bene i boschi e i campi, nei quali si incontrano uomini (pochi) e pecore e cavalli, nei quali la fretta è cosa sconosciuta, e lo sguardo si perde, nei quali bisogna imparare ad ascoltare il vento e il silenzio, saper guardare il mare, le vele, le facce.
Tante storie, come quelle contenute nella seconda sezione del libro, suddivisa in cinque capitoli, diversissimi uno dall’altro per tono e genere, scritta per raccontare, attraverso alcune testimonianze, la Sardegna di ieri e quella di oggi, per comunicare l’unicità di quest’isola, spiegare una cosa che “neanche i sardi sanno capire bene: la Sardegna.”
Una delle voci è quella di Raffaella Pani, mamma dell’autore, che narra di una Sardegna che non c’è più, che racconta con nostalgia la sua vicenda personale. Cresciuta in un periodo in cui l’istruzione alle donne era negata, perché alle donne si chiedeva solo di essere delle brave figlie, mogli, madri. La testimonianza dell’autore mostra invece, con amara ironia, il ritratto di una Sardegna attualissima, quella dei vip, delle discoteche, dei party glamour, dei locali dei miliardari. E non manca il singolare omaggio fatto da scrittori, scrittrici e autori cagliaritani all’epopea del Cagliari calcio.
Un romanzo di viaggio, una piccola guida per raccontare l’anima di una terra, dedicata al viaggiatore che vuole davvero vedere la Sardegna, vuole capirne la sua bellezza, la sua autenticità e comprendere la forza e la generosità delle sue genti. Una guida dei “posti assurdi, quelli di cui non parla mai nessuno”.
Una guida per tutti: sardi ed ex sardi, ma anche non sardi, perché è la storia dell’Italia tutta, di chi non riesce a lasciare la propria terra, di chi c’è riuscito ma non può dimenticarla, e non perde occasione per tornare, perché i ricordi, dopo un po’, diventano confusi. “E devi tornare, e renderli vividi.”
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