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Alla ricerca dell'ordine mondiale. L'Occidente di fronte alla guerra - Filippo Andreatta - copertina
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Alla ricerca dell'ordine mondiale. L'Occidente di fronte alla guerra
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Descrizione


Dopo l'11 settembre, le divisioni politiche hanno impedito una visione strategica comune, mentre il sanguinoso "dopoguerra" iracheno rappresenta un ulteriore dramma per gli stati e le coscienze. Questo volume delinea alcuni possibili scenari per uscire dal caos e ripristinare un ordine internazionale fondato sulla cooperazione multilaterale. L'autore discute l'intervento americano in Iraq e le sue conseguenze, le prospettive per l'esportazione della democrazia, le mutazioni del terrorismo internazionale, il ruolo dell'ONU e dell'Europa. È necessaria la ricostruzione di un ampio consenso internazionale attraverso un'azione concertata fra le potenze. L'unico percorso con qualche probabilità di successo per la stabilizzazione mondiale.
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Dettagli

2004
16 settembre 2004
154 p., Brossura
9788815097415

Voce della critica

Le profonde trasformazioni che negli ultimi quindici anni hanno investito le dinamiche della politica mondiale hanno costretto gli studiosi di relazioni internazionali a formulare nuovi modelli interpretativi, a elaborare nuovi strumenti di analisi, a immaginare nuove "mappe" del mondo e dei suoi difficili e mutevoli equilibri. Il libro di Andreatta offre un importante contributo a questa ricca stagione di studi. Attraverso un'articolata riflessione sul concetto di "ordine internazionale", esso discute infatti in modo persuasivo i principali sviluppi della storia internazionale dal 1989 a oggi, gettando anche uno sguardo sui possibili scenari futuri della politica mondiale. Il punto di partenza di questa riflessione è la distinzione tra le due nozioni di "sistema internazionale" e di "ordine internazionale". La prima sta a indicare l'assetto che le relazioni internazionali vengono ad assumere in un determinato periodo storico sulla base della posizione di potenza e degli interessi strategici dei diversi attori – in primo luogo gli stati – che agiscono sulla scena della politica mondiale. La seconda, invece, sta a indicare il complesso di regole, istituzioni, comportamenti variamente codificati che quegli attori possono decidere di assumere, in modo più o meno esplicito, per governare i propri rapporti.

In assenza di un governo mondiale che concentri in sé il monopolio dell'uso legittimo della forza – continua Andreatta – gli ordini internazionali non sono mai, come invece avviene nella vita interna degli stati, "ordini gerarchici". Sono piuttosto "ordini anarchici" che dipendono dalla volontà degli stessi attori di conformarsi o meno alle regole. Per questa loro particolare natura, essi non possiedono virtù taumaturgiche, ma non sono nemmeno, come pretende la visione "realista", semplici chimere che non temperano in alcun modo la condizione strutturalmente "anarchica" del sistema internazionale e la tendenza degli stati, in particolare di quelli più forti, a perseguire con ogni mezzo i propri interessi di potenza. Essi non sono certo in grado di garantire la pace o la giustizia. Ma rendono maggiormente prevedibile il comportamento degli stati, affiancando agli incentivi "naturali" del sistema quelli "artificiali" dell'or­dine stesso.

Come insegna un'ampia tradizione di studi, gli ordini sorgono e si dissolvono con i grandi conflitti internazionali. La loro tenuta dipen­de dalla misura in cui essi risultano adatti, per le loro specifiche caratteristiche, a particolari condizioni sistemiche. Gli ordini internazionali, infatti, possono essere molto diversi tra loro. Andreatta ne individua quattro modelli fondamentali. Il primo, il più tradizionale, è quello dell'ordine fondato su "alleanze competitive" fra grandi potenze e sul principio dell'equili­brio, così come si è storicamente realizzato all'in­domani della pace di Westfalia (1648) e poi, nuovamente, della pace di Utrecht (1713). Si tratta, secondo Andreatta, di un ordine "minimo", dotato di una ridotta autonomia rispetto agli incentivi già impliciti nel "sistema"; "esclusivo", basato su un sistema di alleanze contro uno specifico e potenziale avversario; e "informale", in cui cioè le alleanze sono caratterizzate da una sostanziale flessibilità. Il secondo modello, il più ambizioso, è quello dell'ordine basato sui meccanismi della "sicurezza collettiva". Si tratta di un modello opposto a quello delle alleanze competitive, che prevede un forte grado di autonomia delle regole istituzionali dai vincoli sistemici; che si fonda su una membership inclusiva, vale a dire su alleanze che non prevedono in linea di principio "avversari" e in cui invece tutti gli stati sono al tempo stesso "potenziali aggressori" e "potenziali impositori della norma"; e che presuppone un elevato livello di formalizzazione delle regole. È il modello incarnato dalla Società delle Nazioni e poi dalle Nazioni Unite. Il terzo e il quarto modello – "ibridi" rispetto ai primi due – sono quelli che si fondano sui meccanismi della "difesa collettiva" e del "concerto": vale a dire, da un lato, su alleanze esclusive, ma al tempo stesso in qualche modo formalizzate, per lo più sulla base di un'identità condivisa; dall'altro lato, su un principio inclusivo simile alla sicurezza collettiva, ma con un livello maggiore di flessibilità e di informalità. La contrapposizione tra i due blocchi nell'età bipolare sovietico-americana e l'ordine istituito dal Congresso di Vienna, e poi ripreso in età bismarckiana, sono le principali incarnazioni di questi due modelli.

È alla luce di questa tipologia che Andreatta si interroga sui caratteri della politica mondiale nell'era postbipolare. La sua tesi è che il sistema internazionale emerso dopo la fine dei blocchi contrapposti è un "sistema globale frammentato", in cui coesistono tre "mondi": un primo mondo – comprendente l'Occi­dente, l'America Latina, l'Asia orientale e l'Europa centrale – in cui dominano la democrazia e il mercato e che ha rimosso al suo interno il ricorso alla violenza e alla guerra; un secondo mondo – che comprende tra gli altri Russia, India e Cina – impegnato in una complessa transizione verso il primo; e ancora un terzo mondo – comprendente ampie porzioni del continente africano e dell'Asia, e il Medioriente – attanagliato dalla povertà, dominato da regimi autoritari, minacciato dal pericolo del "fallimento dello stato", scosso da violenze e conflitti di ogni genere, e quindi profondamente instabile.

In questo sistema a più mondi, secondo Andreatta, per la prima volta le maggiori instabilità non coinvolgono direttamente le rivalità tra le grandi potenze, ma si concentrano nella periferia del sistema. In esso, tuttavia, per effetto della crescente interdipendenza del pianeta, ma soprattutto, sul terreno della sicurezza, a causa del terrorismo internazionale e della proliferazione delle armi di distruzione di massa, quelle stesse instabilità coinvolgono tutti i principali attori della politica internazionale. Quale tipo di ordine permette di governare nel modo più efficace un sistema internazionale di questo genere? Secondo Andreatta, il modello delle alleanze competitive – l'ordine "più permissivo" nei confronti della guerra – non è più praticabile nel mondo contemporaneo. Il modello della sicurezza collettiva è a sua volta "troppo utopistico" in quanto prevede una serie di "automatismi" che non si conciliano con la persistente sovranità degli stati e, in particolare, con la frammentazione delle percezioni di sicurezza dei diversi attori internazionali. I due modelli "ibridi" – la difesa collettiva e il concerto – sono invece maggiormente compatibili con l'attuale struttura del sistema internazionale. Entrambi offrono maggiori garanzie contro la guerra rispetto al modello delle alleanze competitive. Entrambi permettono, rispetto al modello della sicurezza collettiva, una maggiore selettività nei confronti dei conflitti internazionali e interni che lacerano la politica mondiale. Entrambi, infine, dispongono di una precisa "strategia" per governare un sistema complesso a "più mondi".

Queste strategie, secondo Andreatta, sono però molto diverse. Applicati al mondo attuale, i principi della "difesa collettiva" spingono verso una destabilizzante contrapposizione tra democrazie e non-democrazie, che può tradursi – qualora tali principi siano intesi in senso offensivo – nella pretesa di esportare direttamente la democrazia nei paesi non democratici. I principi del concerto, invece, spingono nella direzione della cooptazione delle non-democrazie, della ricerca multilaterale della stabilità e di una considerazione realistica dei comportamenti esterni, più che della struttura interna, dei propri partner internazionali. Il rischio in essi implicito è quello dell'inazione. Ma si tratta di un rischio infinitamente minore di quello che produce una concezione aggressiva della difesa collettiva.

Nell'ultima parte del suo libro Andreatta mostra come per tutti gli anni novanta le due opzioni del concerto e della difesa collettiva siano rimaste compatibili e abbiano effettivamente plasmato con relativo successo i meccanismi della politica internazionale. La cosiddetta "rivoluzione di Bush" e poi la guerra irachena hanno invece fatto prevalere una pericolosa, e al tempo stesso fragile, strategia di difesa collettiva, finalizzata per l'appunto all'esportazione della democrazia. Si tratta, a suo giudizio, di una scelta inadatta alla struttura del sistema internazionale contemporaneo. Di una scelta estranea alla tradizione della politica estera americana. Di una scelta, ancora, che ha prodotto soltanto danni e che, per di più, ha avuto l'effetto di spezzare lo stesso fronte delle democrazie, producendo una crisi sen­za precedenti nei rapporti tra Europa e Stati Uniti.

Andreatta è comunque ottimista. I principi del concerto – vale a dire dell'"ordine con la maggiori probabilità di successo per questo scorcio iniziale del XXI secolo" – torneranno presto a prevalere. Più in generale, si può a suo giudizio sperare che un giorno, certo non molto prossimo, in virtù di profondi mutamenti sociali e di mentalità, la stabilità e la pace diventino – come lo sono ormai in Europa dopo secoli di guerre pressoché ininterrotte – la condizione dominante del mondo intero.

                                                                                                          Francesco Tuccari

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