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La grande vetrata del duomo di Siena, progettata e in gran parte dipinta da Duccio nel 1287-1288, come Enzo Carli aveva intuito anni or sono (Vetrata duccesca, 1946), risplendente di colori dopo un lungo restauro è stata il clou della mostra su Duccio nel 2003. A essa, oltre la nutrita scheda del catalogo redatta da Luciano Bellosi e Alessandro Bagnoli, è stata dedicata una breve monografia a opera dello stesso Bagnoli e di Camillo Tarozzi che ne curò il restauro (Duccio. La vetrata del Duomo di Siena e il suo restauro, 2003) e un colloquio internazionale che ha avuto luogo a Siena nel 2005. Gli atti qui pubblicati contengono, oltre a un testo di Bellosi che sottolinea ancora una volta l'enorme importanza della vetrata nella storia della pittura italiana e ne analizza con sottigliezza le novità e in particolare gli spettacolosi troni architettonici, una rassegna delle fonti documentarie curata da Andrea Giorgi e Stefano Moscadelli, un conciso testo di Camillo Tarozzi, alcuni interventi sull'installazione della vetrata nel Museo dell'Opera (Marco Borgogni) e sui problemi della sua conservazione (Sebastian Strobl, che sopraintende alla conservazione delle vetrate di Canterbury), un saggio di Bianca Tosatti sui precetti degli antichi trattati tecnici messi a confronto con quanto è emerso dal restauro, uno di Francesco Scorza Barcellona sulle immagini dei quattro patroni rappresentati nella vetrata, sulla loro storia e il loro significato.
Due interventi importanti per la loro novità: uno a più mani sulla provenienza del vetro utilizzato (prodotto probabilmente da fornaci toscane tranne quello rosso che come di consueto è importato d'oltralpe) che offre un importante avvio a una ricerca multidisciplinare che, come dimostra il libro appena uscito in Francia su Antonio da Pisa, il suo trattato e le sue vetrate (Antoine de Pise. L'art du vitrail vers 1400, 2008) costituisce la futura via maestra per lo studio delle vetrate; l'altro di un'autorità come Madeline H. Caviness che esamina in parallelo l'oculus di Siena e una serie di vetrate, rose, rosoni e oculi duecenteschi di Francia, Svizzera e Inghilterra, mettendo in rilievo le peculiarità del tondo senese. Malgrado le ampie dimensioni, circa sei metri di diametro, la vetrata non è strutturata da elementi architettonici che ne governino la composizione come nel caso delle grandi rose dell'Europa settentrionale, ma rimane fedele al modello antico dell'oculus, che conferisce una maggiore leggibilità e luminosità all'insieme.
È probabile che la grande vetrata senese abbia avuto un precedente in quelle che dovettero ornare gli oculi dell'abbazia di San Galgano e forse un parallelo nella grande finestra della chiesa di San Domenico nella stessa Siena: purtroppo tutti questi esempi sono andati perduti.
Non sono presenti nel volume due relazioni tenute al convegno da Frank Martin, autore di un importante studio sulle vetrate della basilica di San Francesco in Assisi, con osservazioni stilistiche e formali, e dal filologo Roberto Guerrini, centrata su problemi iconografici.
Resta aperta la questione dei modi e delle conseguenze della collaborazione tra pittori e maestri vetrai che hanno introdotto nell'impaginazione elementi di origine transalpina estremamente rivelatori. La loro presenza a Siena negli stessi anni in cui operavano Giovanni Pisano e Guccio di Mannaia è un dato importante per il crescente affermarsi in città di nuovi fermenti gotici. Enrico Castelnuovo
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