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L'odore del sangue - Goffredo Parise - copertina
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Descrizione


Alla fine degli anni Settanta, Goffredo Parise scrisse un romanzo, dopo un decennio in cui sembrava aver abbandonato definitivamente la forma romanzesca. Quel romanzo vede la luce soltanto adesso. Si potrebbe definire come un'anatomia dell'amore anziano: Parise racconta le peripezie mentali e corporee di una coppia di cinquantenni, entrambi coinvolti in una relazione amorosa con persone molto più giovani. L'epilogo del libro è tragico e violento.
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Dettagli

3
1997
236 p.
9788817660761
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Indice


Le prime frasi

Ho guardato, anzi visto Silvia per la prima volta quando ho avuto la sensazione che mi tradisse. È questa una reazione diffusa, anzi banale, un po' meno banale quando ciò accade a un uomo di cinquantacinque anni come me per una donna di cinquanta come Silvia. È vero che Silvia è ancora quello che si dice una bella donna, "ben tenuta", e anche piena di fascino, è anche vero che si può essere gelosi a tutte le età come dimostrano le cronache ma nel mio caso non si trattò di gelosia, cioè di una passione antica come il mondo, bensì di curiosità, anch'essa una passione terribile ma di pochi e molto moderna. Sono un solitario, un saturnino, come dicono alcuni, e tendo alla fuga, a quella condizione di solitudine selvatica di certi animali. In particolare tendo a fuggire da lei nonostante la ami molto, anzi proprio perché la amo. Lei lo sa e per vent'anni di matrimonio mi ha sempre visto fuggire e anche tradirla: non con la rassegnazione tipica delle mogli sottomesse e sotto sotto interessate, ma, a sua volta, con la trepidazione delle donne innamorate e [così romantiche da] considerare la fuga della persona amata come una sorta di romantica irraggiungibilità, di mistero, dunque di fascino.
Credo che lei non mi abbia quasi mai tradito o, se l'ha fatto, questo è accaduto al tempo stesso per eccesso di solitudine, per disperazione dovuta ai miei tradimenti, per affermare l'autonomia della propria persona sempre in totale dipendenza da me. Ad ogni modo nessuno di questi tradimenti di cui ho avuto sentore e anche aperta confessione, ha veramente turbato il nostro legame, anzi, sempre è servito a rinsaldarlo. Anche qui, siamo nel banale, infatti accade a un sacco di coppie.
Quando è nata in me la gelosia, anzi la curiosità, per un suo supposto tradimento? Non lo posso dire con precisione ma solo per approssimazione. Non ci fu un fatto preciso ed esterno (ci furono, ma la loro importanza era marginale e per così dire di dettaglio) bensì uno impreciso ed esterno. Fu il seguente: io avevo una giovane amante, nel paese di montagna dove sto spesso, per cui Silvia soffriva e ancora più aveva sofferto. Una ragazza di venticinque anni che non mi decidevo ad abbandonare nonostante e forse proprio per la pazienza di Silvia: ero attratto, molto attratto, la ragazza era quello che un mio amico definì con una sola geniale parola a vederla in fotografia. Sospirò, essendo un uomo di mondo e assai pratico di cose del genere, disse: Eros, e non ci fu e non c'è bisogno d'altro. Stavo il più del tempo fuori da Roma, in quel paese, e con Silvia ci si telefonava tutti i giorni perché, non l'ho ancora detto, io amo Silvia come un ragazzo. È possibile? Sì, è possibile. Nonostante l'amante? Sì, nonostante l'amante. Che amavo come un vecchio e non come un ragazzo. All'inizio della mia relazione Silvia si disperò, poi, piano piano, sembrò accettarla e quando me ne accennava io non sapevo cosa dire, paralizzato dal silenzio, frutto di ciò che consideravo colpevole nei confronti di Silvia. Anche qui siamo nel banale. Quando Silvia accennava a qualcosa e trovavo la voce di rispondere dicevo: "non esistono diritti di esclusiva tra le persone" una evidente bugia; su cui però costruivo un intero comportamento, saggio, sociale e cinico. Senonché sapevo benissimo che di noi due, me e Silvia, nessuno dei due era veramente cinico e non lo sarebbe mai stato. Questo il prologo del fatto. Il fatto invece fu che, una sera, squillò il telefono nella nostra casa di Roma. Silvia rispose. Con disinvoltura perfetta disse: "Scusami un momento, passo all'altro apparecchio" e se ne andò in camera a parlare per un bel po'. Tornò, le chiesi chi era.

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Gianni
Recensioni: 3/5

E' un romanzo postumo, che Parise scrisse, rilegò e mise nel cassetto. E'la prima stesura e lo si vede proprio da quella certa approssimazione o ripetitività di alcune pagine che gli si imputa. Ma già così com'è è una creatura solida, piena, forse un po' grezza, ma carica di fascinazione.

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Giorgia
Recensioni: 5/5

Credo che sia uno dei libri più belli che abbia mai letto, la lucidità miscelata al sentimento, il reale ritmo dell'essere umano, tutte le reazioni sono riconoscibili. Un chiaro esempio di un personaggio, che non solo conosceva a fondo l'anima dell'umana gente ma che era anche in grado di riportare magistralmente su carta il cuore che pulsa.

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gianluca
Recensioni: 1/5

Non capisco come si possa apprezzare un libro del genere. Non conosco Parise, e questo è certamente un grave limite. Però un romanzo dovrebbe essere apprezzato per quel che è, indipendentemente dalle referenze contestuali. Ebbene, mi permetto di criticarlo. Il libro mi sembra scritto da una pallido, bieco emulo di Moravia. Lo stile è ugualmente materico, prosaico, opaco. Ma se in Moravia ha corposità, qui gira a vuoto in inutili perifrasi, in immagini, paragoni e sillogismi banali, elementari, privi di fascino. Una noia mortale, tanto che mi sono rifiutato di finire di leggerlo, il libro, pur armato delle migliori intenzioni. Ovviamente sono pronto a ricredermi, se qualcuno mi offrisse convincenti argomenti a suo favore. L'odore del sangue è uno tra i peggiori libri mai letti.

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Voce della critica


recensione di Coletti, V., L'Indice 1997, n. 8

Un romanzo pubblicato parecchio tempo dopo la sua stesura ha effetti imprevedibili, tanto più quando la distanza è, se non cronologicamente ampia, culturalmente profonda.Può accadere che il libro non sia stato pubblicato all'epoca della sua composizione perché più avanti rispetto al gusto allora dominante e si trovi quindi meglio posizionato al momento dell'uscita, come è successo ai romanzi di Guido Morselli; o invece può accadere che la sua pubblicazione riporti indietro le lancette del gusto e della cultura e riesca quindi sconcertante e incomprensibile.Ho l'impressione che Cesare Garboli, prefando magistralmente "L'odore del sangue" riesumato dalle carte di Goffredo Parise, si sia preoccupato proprio di parare questa eventuale sensazione di rigetto e contro di essa abbia alzato un impressionante, intelligentissimo fuoco di sbarramento.
"L'odore del sangue" è un romanzo non rifinito dal suo autore, composto di getto nel 1979 e riletto senza apportare variazioni pochi mesi prima della morte nel 1986 (Giacomo Magrini dà conto nella nota al testo dei criteri e dei problemi filologici dell'edizione).Racconta l'ossessione erotica di un marito cinquantenne tradito dalla moglie, anch'essa di cinquant'anni, che si concede a un ragazzone romano e, in un crescendo autodistruttivo, ai suoi numerosi amici e alle loro più volgari perversioni.Dopo averla sostanzialmente trascurata per molto tempo (la tradisce da anni), l'uomo è di nuovo attratto e interessato dalla moglie, che scopre in questa inedita e impropria dimensione di tardona vogliosa, pateticamente perduta dietro a un giovanotto che potrebbe essere suo figlio.
Già, probabilmente, in arretrato sul gusto letterario dell'epoca della sua stesura (il '79 è l'anno di "Se una notte d'inverno un viaggiatore"), il romanzo lo è ancor più su quello odierno, ma, proprio per questo, si offre al lettore come un campione, perfetto ancorché tardivo, della narrativa del Vecchio Novecento, moraviana o precalviniana che dir si voglia.Le caratteristiche di questa narrativa vi si ritrovano infatti tutte: il centralismo assoluto dell'io, la parallela centralità del sesso, la ritualità della coppia (dove tutto, perfino l'adulterio, è istituzionalizzato).Nel libro di Parise non ci sono che i due protagonisti (gli altri, spesso, non hanno neppure un nome, sono pallidi fondali, con ruolo solo narrativamente funzionale); anzi, a ben vedere, non c'è altro che il marito, il narratore che racconta e analizza con maniacale minuziosità (e maschilistica presunzione, come nota Garboli) il comportamento della moglie.Il marito, per di più, è un analista, cioè il professionista più tipico dell'età dell'imperialismo dell'io, il sacerdote laico dell'inconscio, coi suoi protocolli di valutazione psichica tanto collaudati quanto, per una volta, inutilizzabili.Il romanzo rilancia, così, un altro mito veteronovecentesco, il linguaggio, come mezzo attraverso il quale si può e si deve dire tutto, appropriarsi di tutto, dominare la realtà.I due protagonisti parlano incessantemente e alzano tra di loro un muro di parole che li divide assai più di quanto li avvicini (non a caso i loro rapporti sono perlopiù telefonici); la conversazione tiene nella loro vita il luogo dei fatti e delle cose (non ci sono ovviamente figli né altri ingombri); se questa langue, provvede a riempire il silenzio il marito-narratore col proprio furore nominativo, l'incontenibile impulso a dire, a fagocitare il reale nel discorso.Di conseguenza, ci sono anche le tipiche libertà linguistiche (le parole proibite pronunciate col gusto di chi finge di essersi liberato dall'imbarazzo di dirle), le oltranze erotiche e verbali di una cultura che, avendo identificato l'io col sesso, ha dovuto verbalizzare il sesso fin nei più riposti dettagli.
Al riguardo può riuscire utile qualche confronto: ad esempio quello col sereno erotismo dei recentissimi "Quaderni di don Rigoberto" di Vargas Llosa, a fronte del quale la dura, acre (Parise lo segnala già nel titolo) perlustrazione del territorio della sessualità e delle passioni nell'"Odore del sangue" sembra appartenere, oltre che a un diverso (il vecchio) continente, a un'altra epoca culturale, denunciando una differenza non minore di quella che la separa dalle leggere e raffinatissime acrobazie psicologiche ed erotiche dei romanzi francesi del Sei-Settecento (Madame de la Fayette o Crebillon), opere di un'età in cui l'io poteva ancora permettersi il lusso di dominare l'eros, guardandolo dall'alto.
"L'odore del sangue" ci ricaccia istruttivamente nel profondo Novecento, in una letteratura stretta intorno a un io ipertrofico e claustrofobico, e ci fa misurare la distanza ormai enorme che ci separa da essa. Goffredo Parise termina la sua notevole carriera di scrittore, affondando, paradossalmente, da vero postumo, in quel secolo, dal quale, all'inizio (penso al "Ragazzo morto e le comete"), aveva saputo, lui più di tanti altri, stupendamente allontanarsi.



La vita e i film

1929 Nasce a Vicenza l'8 dicembre, da Ida Wanda Bertolini e da padre sconosciuto.
1937 La madre sposa il giornalista Osvaldo Parise.
1949 Dopo aver conseguito la maturità classica, si trasferisce a Venezia per frequentare l'università a Padova (corsi di lettere, medicina e matematica).
1950 Lascia l'università e inizia a collaborare con alcuni giornali veneti, tra cui l'"Alto Adige".
1951 Pubblica il suo primo romanzo, "Il ragazzo morto e le comete", presso Neri Pozza.
1953 Si trasferisce a Milano, dove lavora come correttore di bozze per Garzanti. Pubblica presso Neri Pozza La grande vacanza.
1954 Pubblica presso Garzanti "Il prete bello", che avrà un grande successo di pubblico.
1956 Diviene consulente per Longanesi. Pubblica presso Garzanti "Il fidanzamento". Sposa Maria Costanza Sperotti; gli fa da testimone di nozze Giovanni Comisso.
1958 Entra nel consiglio d'amministrazione di Longanesi. Inizia a collaborare con "Il Giorno".
1959 Pubblica presso Garzanti "Amore e fervore".
1960 Si trasferisce a Roma. Inizia a collaborare con "Il Corriere della Sera".
1961 Lavora per il cinema, scrivendo sceneggiature e soggetti.
1962 Fa viaggi in Russia, negli Stati Uniti e in Spagna.
1963 Si separa dalla moglie.
1964 Conosce Giosetta Fioroni, che sarà sua compagna per il resto della sua vita.
1965 Vince il Premio Viareggio per il romanzo "Il padrone", pubblicato da Feltrinelli dopo essere stato rifiutato da Garzanti.
1966 Fa un viaggio in Cina per conto del "Corriere della Sera". Ne deriverà "Cara Cina", il primo dei suoi reportage (seguiranno "Due o tre cose sul Vietnam, Biafra, Guerre politiche").
1967 Fa un viaggio nel sudest asiatico per conto dell'"Espresso". Pubblica presso Feltrinelli "L'assoluto naturale".
1968 È a Parigi, insieme a Nanni Balestrini, durante i moti studenteschi; poi nel Biafra.
1969 Pubblica presso Feltrinelli il romanzo "Il crematorio di Vienna". Continua l'attività di inviato speciale in varie parti del mondo: Medio Oriente, Albania, Russia, Ungheria, Cecoslovacchia.
1970 Compra una casa a Salgareda, sul greto del Piave.
1972 Pubblica presso Einaudi "Sillabario n.1", una svolta nella sua attività letteraria.
1974 Tiene una rubrica sul "Corriere della Sera".
1980 Fa un ultimo viaggio, in Giappone, e ne trae il reportage "L'eleganza è frigida".
1982 Vince il Premio Strega per "Sillabario n. 2", pubblicato da Mondadori.
1986 L'Università di Padova gli conferisce la laurea ad honorem. Muore a Treviso il 31 agosto.


recensione di Gritella, R., L'Indice 1997, n. 8

Discusso in vita e dopo la morte.A più di dieci anni dalla scomparsa, nell'agosto del 1986, Goffredo Parise continua a dividere la critica letteraria in due fronti: da un lato c'è chi ritiene che sia ingiusto dare in pasto al pubblico ciò che un autore, per motivi personali, aveva deciso di riservare alla sfera privata; dall'altra c'è chi sostiene che l'uscita postuma dell'ultimo Parise costituisca l'irrinunciabile epilogo di una straordinaria testimonianza di uomo e di scrittore.
A questo secondo schieramento appartiene Mario Fortunato, giornalista dell'"Espresso", che parla di un romanzo "fatto e finito, ipnoticamente sconvolgente, non uno di quei soliti scartafacci postumi, densi di note e postille, che hanno il più delle volte valore filologico, ma non squisitamente letterario o artistico.Non è un'opera incompiuta e lacunosa, utile alla comunità degli studiosi, ma non necessaria ai bisogni del comune lettore di narrativa".
Della stessa opinione Ernesto Ferrero, collaboratore di "Tuttolibri", che non sa quali fossero le reali intenzioni di Parise a proposito de "L'odore del sangue", ma lo ritiene degno di pubblicazione "così com'è, nelle sue ripetizioni, nell'ossessivo ritorno musicale dei suoi temi". Ferrero giudica il romanzo degno del miglior Parise: "Le sue pagine hanno la rapidità, la leggerezza, la perentorietà struggente dei "Sillabari"" e "sullo sfondo, l'estro di Stendhal".
Ma Angelo Guglielmi nella sua rubrica sull'"Espresso", stronca con decisione "L'odore del sangue": "Si tratta di un romanzo di stampo moraviano, afflitto dalla pesantezza dimostrativo-linguistica che in genere opacizza i romanzi di Moravia". L'ex direttore di Raitre è severo con la pittrice Giosetta Fioroni, compagna di vita di Parise, e con Cesare Garboli, che ha suggerito la pubblicazione a Rizzoli: "Credo che si sia fatto un torto a Parise rendendo pubblico un libro che aveva deciso di tenere per uso privato". Il lettore non scopre nell'ultimo scritto di Parise nulla di nuovo su se stesso e sui suoi sentimenti: "Nel caso di Parise, il lettore impara quello che già sapeva e la cui novità, se ce ne è una, è che gli viene offerto in versione 'hard'".
Alleato di Angelo Guglielmi pare Alberto Arbasino, che sulle colonne di "Repubblica" parla di un romanzo incentrato su un tema che "parrebbe soffocante ed inerte come negli ultimi romanzi clonati di Moravia: dove tutta una lunga esperienza di cultura ed impegno internazionale sembra immiserita nel tormentone se la parrucchiera la dà o non la dà al ragioniere o all'ingegnere". Arbasino però assolve Parise dalla maledizione della letteratura italiana: la noia. Una noia dettata dalla "difficoltà ad uscire dall'autobiografia, dall'appartamento, dall'infanzia, dalla famiglia": lo scrittore vicentino ne sembrerebbe escluso in quanto dotato di una maggiore capacità di rendere reali le vicende erotiche del romanzo, di dare vita a personaggi e descrizioni maggiormente credibili per il lettore, pur sfruttando un tema - la signora borghese di mezza età attratta e soggiogata da un ventenne violento e picchiatore, ottuso e neofascita - già ampiamente visto e letto, in tanta letteratura occidentale. La conclusione è perfettamente arbasiniana: "Le nuove generazioni di picchiatori d'ogni colore che vivono coi genitori hanno un solo scopo nella politica: trovare una signora che poi gli prepara la cuccia e riempie il frigorifero". Questo è ciò che Parise ha capito.
Di diverso parere, Raffaele La Capria sul "Corriere della Sera". Il tema del romanzo non è centrato sul solito erotismo moraviano: "Le pagine di questo libro sono il resoconto minuzioso ed ossessivo sulla gelosia, un resoconto scritto con crudele e maniacale abilità".Inoltre, "questa trama, anzi questo supporto, chiaramente autobiografico, (...) non ha l'andamento di una normale storia di coppie contrapposte con relativi inganni, sotterfugi e tradimenti, ma si sente subito che ha un tono tragico ed un presagio di morte". Secondo La Capria, "L'odore del sangue" è un libro nel quale Parise, sapendo che non l'avrebbe pubblicato, poteva svelare tutto di sé, dove poteva "portare a galla tutte le rimozioni depositate nel fondo del suo animo". Nel lungo articolo non si giudica la scelta editoriale di pubblicare il romanzo postumo, ma si rileva comunque il valore di un'opera che "come ogni vero romanzo, inventa non solo il proprio linguaggio e la propria (funebre) liturgia, ma anche le voci di un suo vocabolario, dove parole molto comuni assumono, immesse in un contesto del tutto nuovo, valenze e significati del tutto nuovi".


ALBERTO ARBASINO, "Goffredo Parise anima e sesso", "La Repubblica", 27 giugno 1997.
ERNESTO FERRERO, "Il colera di Parise", "Tuttolibri" di "La Stampa", 12 giugno 1997.
MARIO FORTUNATO, "L'invidia del sesso perduto. Colloquio con Cesare Garboli", "L'Espresso", 12 giugno 1997.
ANGELO GUGLIELMI, "Parise, meglio nel cassetto", "L'Espresso", 3 luglio 1997.
RAFFAELE LA CAPRIA, "Vedi alla voce gelosia", "Corriere della Sera", 15 giugno 1997.

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La recensione di IBS


«L'odore del sangue restò lì, nelle zone incerte della mia coscienza come appunto certi sogni che si ricordano a mezzo, o certe frasi che appaiono magiche, inspiegabili ma tanto più affascinanti e misteriose proprio per il loro suono e niente più.»

Questo romanzo di Parise, pubblicato postumo, è stato al centro di un ampio e acceso dibattito letterario relativo alla datazione della sua stesura. La prefazione di Cesare Garboli all'edizione 1997 non pone però in modo prioritario l'accento sull'anno della composizione, quanto sulla "necessità" creativa che quest'opera ha rappresentato per Parise.

Il romanzo è attraversato dall'"odore del sangue", sensazione che il Narratore prova, con sempre maggiore frequenza e intensità, dal momento che la moglie, Silvia, gli dichiara l'inizio di una relazione con un giovane romano. Sensazione di vita, ma soprattutto di morte, annuncio quasi del tragico e inevitabile epilogo della vicenda. Sicuramente Parise sente in sé forte la consapevolezza del disfacimento del proprio corpo, della morte incombente, di una vitalità ancora violentemente presente, ma fragile e precaria. E così nel romanzo, la forza vitale, la sessualità che Silvia vive, ma che quasi fino all'ultimo, non vuole descrivere, è in realtà un presagio di morte. Cinquant'anni, ancora bella e attraente, la donna si fa letteralmente travolgere da un amore oscuro e dominante. Il marito, il Narratore, legato a lei da un legame quasi simbiotico, ma che sempre l'ha tradita con altre donne e che, da due anni, ha una relazione importante con una ragazza, non riesce a tollerare la consapevolezza del tradimento della moglie. Immagina, in modo sempre più angoscioso, i rapporti sessuali di lei col ragazzo, le chiede con insistenza la descrizione nei dettagli, sente e vive con lei momenti di passione, in una relazione che era sempre stata caratterizzata da un'unione prevalentemente spirituale. Il Narratore sa che Silvia ha paura, pudore di certe sensazioni forti e nuove che prova, di come lentamente sta accettando tutto quello che la prepotenza malata del ragazzo le impone. Sa però di essere il vero responsabile di quanto sta accadendo, come si sentirà responsabile della morte; sa che la sua incapacità ad accettare il rapporto come lei lo voleva, l'ha portata a questa mortale avventura, sempre sentirà improponibile il parallelo tra sé e lei, tra la sua storia con una ragazza e quella di Silvia con un ragazzo. E la conclusione lo conferma: Silvia muore, vittima di una violenza a cui ha accondisceso in fondo sicura che la forza dell'amore possa redimere qualsiasi cosa, lui si sposerà e avrà l'esperienza della paternità. Un libro maschile, in cui le figure femminili sono filtrate dal punto di vista del Narratore, il potere sessuale sulla donna è una conferma del proprio essere vivi, il tradimento subito, una forma insopportabile di negazione.

A cura di Wuz.it

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Goffredo Parise

1929, Vicenza

È stato uno scrittore e giornalista italiano. Comincia a scrivere collaborando con giornali come L’Alto Adige, L’Arena, il Corriere della Sera. Nel 1950 appare il suo primo romanzo, Il ragazzo morto e le comete, pubblicato dall’amico Neri Pozza ma stroncato dalla critica. Nel 1953 è la volta de La grande vacanza accompagnato questa volta da una lusinghiera recensione di Eugenio Montale sul Corriere della Sera e definito da Carlo Bo nel 1968 “autentica poesia”. È Leo Longanesi ad incoraggiarlo a continuare a scrivere: arriveranno Il prete bello (1954); Il Fidanzamento (1956); Amore e Fervore (1959). La bravura del Parise giornalista emerge da alcuni reportage di viaggio, come Cara Cina (1966), Due o tre cose sul Vietnam (1967) e il libro...

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