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In un percorso che spazia fra i più diversi ambiti delle scienze umane - dalla psicoanalisi, alla filosofia, all'antropologia, alla storia e alla sociologia - il lettore si trova ad aggirarsi tanto fra i diversi sistemi concreti di giustizia penale, quanto fra i modelli teorici a essi soggiacenti. Punto di partenza è la constatazione delle trasformazioni che investono il sistema penale italiano, in parte sotto la spinta dei più ampi processi di indebolimento della sovranità statuale a livello internazionale, in parte per i vincoli economici che inducono a smantellare lo stato sociale. Ma proprio i nuovi principi del patteggiamento, della consensualità e della centralità della vittima, che spingono i sistemi giudiziari, non solo civili ma anche penali, ad aprirsi a un'idea di giustizia riparatrice integrativa del più rigido principio di retribuzione, sembrano sollevare interrogativi inquietanti. Dietro una giustizia che si fa mite c'è infatti il rischio di una sua riduzione economicistica, di una perdita del suo valore simbolico e riparativo e di una sua traduzione in termini puramente pecuniari. In tal modo non solo verrebbe tradita l'aspirazione universalistica della giustizia, che diventerebbe fattore di moltiplicazione delle diseguaglianze sociali, ma gli stessi operatori giudiziari correrebbero il rischio di farsi strumenti di processi di normalizzazione e di biopotere, che, come Foucault aveva denunciato, costituiscono il rovesciamento dei tentativi di "umanizzare" le pene. Il labirintico cammino avanti e indietro nella storia attraverso i diversi modi di concepire la riparazione, dalla vendetta alla penalità moderna, si conclude con la proposta di riesplorare le potenzialità, teoriche e pratiche, di una giustizia che, per superare i conflitti e governare la violenza, si presenti non come decisione sovrana, ma come istanza di mediazione e riconciliazione.
Gabriella Silvestrini
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